🫣Chiudere gli occhi
Questa è la ventiseiesima newsletter del 2024 e incontriamo lupi, imperfezioni e vasi rotti. Sulla scia delle tracce dell'esame di maturità.
Contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.
Rita Levi Montalcini
Quest’anno la traccia della maturità proponeva uno stralcio dell’Elogio dell’imperfezione di Rita-Levi Montalcini. Si tratta di un librino autobiografico in cui la scienziata ripercorre le tappe fondamentali della sua vita e della sua passione. Nel testo, la Montalcini riprendeva una frase di Yeats, il poeta irlandese insignito del premio Nobel. La citazione è tratta da una poesia intitolata “La scelta”:
The intellect of man is forced to choose
perfection of the life, or of the work,
And if it take the second must refuse
A heavenly mansion, raging in the dark.
When all that story’s finished, what’s the news?
In luck or out the toil has left its mark:
That old perplexity an empty purse,
Or the day’s vanity, the night’s remorse.L’intelletto dell’uomo è costretto a scegliere
la perfezione della vita, o del lavoro,
e se sceglie la seconda deve rifiutare
una dimora celeste, che infuria nell’oscurità.
Quando tutta quella storia sarà finita, quali saranno le novità?
Nella fortuna o nella sfortuna la fatica ha lasciato il suo segno:
quella vecchia perplessità, una borsa vuota,
o la vanità del giorno, il rimorso della notte.
Yeats sostiene che si persegue la perfezione o nella vita o nel lavoro, a discapito dell’una o dell’altro. La Montalcini, nel passo presentato ai maturandi, sosteneva che questa dicotomia poteva essere superata dall’imperfezione:
Senza seguire un piano prestabilito, ma guidata di volta in volta dalle mie inclinazioni e dal caso, ho tentato di conciliare due aspirazioni inconciliabili, secondo il grande poeta Yeats: ‘Perfection of the life, or of the work’. Così facendo, e secondo le sue predizioni, ho realizzato quella che si può definire ‘Imperfection of the life and of the work’. Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione.
Non è la prima che si schiera a favore dell’imperfezione nella storia umana.
Anzi, in generale, questa predilezione ha radici antichissime: i tessitori Navajo intenzionalmente inseriscono piccole imperfezioni nei loro tappeti, chiamate “vie di uscita per lo spirito”; nei tappeti e nell'arte islamica, spesso viene intenzionalmente inserito un piccolo errore, poiché la perfezione è considerata un attributo divino, e anche in alcune culture dell'Africa occidentale, le imperfezioni nelle maschere e nelle sculture sono considerate canali per gli spiriti. In queste culture, come anche nella cultura greca antica, l’imperfezione è parte della condizione umana.
L’imperfezione è “sentita” come una piccola frattura nel piano perfettamente liscio di ciò che ci appare solido, radicato, accettato da tutti.
Nessuno come un adolescente capisce l’imperfezione perché è la sua condizione esistenziale. Finito il dorato mondo dell’infanzia in cui tutto è possibile, non ancora stabilitosi nell’inattaccabile regno della divinità adulta, dove il potere di fare ciò che si vuole sembra incontrastato, gli adolescenti vagano.
Vagano nel limbo, vagano per le strade, vagano sui social.
Fanno rumore ma non vogliono essere riconosciuti.
Vogliono spaccare tutto ma sono rotti dentro.
La società proto-indo-europea (se volete approfondire le tematiche linguistiche ascoltate il podcast Le invasioni, di Luca Misculin e Riccardo Ginevra) molto probabilmente aveva vari modi di incoraggiare il legame tra persone della stessa età, come per esempio quello del cosiddetto koryos, che in proto-indo-europeo significa banda armata: la parola stessa sarebbe all’origine del termine per esercito in tedesco.
In numerose tradizioni proto-indo-europee è infatti attestata un'istituzione sociale per cui, al raggiungimento di una certa età, gruppi di giovani maschi passavano ai margini della società un periodo relativamente lungo, diversi anni probabilmente, prima di potere a tutti gli effetti rientrare nella società e quindi sposarsi, avere figli, avere proprietà.
Un modo non dissimile da come si comportano le chiassose compagnie di adolescenti (sopratutto maschi, ma si vedono anche delle ragazze) che infastidiscono le persone per bene nelle nostre piazze, per poi, in futuro, prendere parte alla vita della propria società. Allora i ragazzetti si vestivano di pelli di lupo, che era l’animale con il quale si identificavano, e come lupi si comportavano nelle scorribande che terrorizzavano i popoli vicini. Questi proto antenati dei nostri adolescenti avevano costumi molto violenti, addirittura compivano crimini efferati come rapine e omicidi.
Succedeva a Sparta, ma anche in Italia, in Irlanda, in India. Anche Romolo e Remo prima di fondare Roma andavano in giro comportandosi da sbandati.
Secondo lo studioso Kim McCone, i legami formati in questo periodo “selvaggio” persistevano spesso per tutta la vita, similmente a come oggi gli ex compagni di classe mantengono rapporti nel tempo.
Questi adolescenti sbandati proto-indo-europei che si chiamavano koryos sarebbero forse fieri degli adolescenti di oggi. Forse la vera differenza è che nelle bande attuali capita di trovare anche una consistente presenza femminile.
Vivono ai margini in un limbo in cui, a volte, si sfiora la delinquenza. Non tutti, eh.
C’è più da preoccuparsi di quelli ribelli o dei ragazzi di cui i genitori vanno così orgogliosi?
In un caso o nell’altro, tutti gli adolescenti sanno di non essere perfetti: non sono come li vogliamo, ma non sono neanche come vorrebbero essere.
Il problema di noi che guardiamo il quadro imperfetto dei nostri adolescenti è che vorremmo evitare la frattura, vorremmo che non si strappassero, desidereremmo solo vederli splendere e fiorire. Lo dico perché vivo questa condizione con tutte le mie viscere proprio con i miei figli. E anche con i miei alunni, in molti casi.
Non so se la vita fosse più dura allora, quando ci si vestiva di pelli, probabilmente la complessità della società attuale ha permesso una maggiore proliferazione di pericoli insidiosi e nascosti più che nelle steppe dei nostri progenitori.
Non si può essere perfetti neanche come adulti.
Chi è dedito al raggiungimento della perfezione non può guardare altri che se stesso.
È in ciò che si frantuma che passa la luce: un vaso perfetto senza incrinature resta buio e vuoto al suo interno. Forse è per questo che i giapponesi celebrano l’imperfezione, come accettazione della transitorietà, tanto da rivestire d’oro le ceramiche in cocci proprio sulle linee di rottura. Così hanno inventato il kintsugi per valorizzare il cambiamento e la bellezza delle cicatrici.
L'imperfezione degli adolescenti non è un difetto da correggere, ma un processo naturale di crescita.
Le imperfezioni dei nostri adolescenti non sono oscurità da temere, ma fessure attraverso cui può filtrare la luce di una nuova possibilità. Invece di cercare la perfezione in noi stessi e negli altri, dovremmo coltivare
l’imperfezione, così come la descrive la Montalcini: la totale dedizione e l’accettazione dell’imprevedibile. E aggiungerei, l’umiltà di imparare ad accettare ciò che non possiamo controllare.
In fondo si tratta di chiudere gli occhi davanti alle imperfezioni che ci feriscono e guardare a ciò che è più profondo.
Buon caffè
Simona ☕️
PS: Lascio ancora il link per il Lesson plan generator: a quanto pare i miei colleghi hanno apprezzato.