🔍 "Nemici" da combattere in aula: qual è il tuo?
Questa è l'undicesima newsletter del 2024. Parliamo di difficoltà sempre più grandi e di saggezza antica, condensata in detti popolari. E di mantra personali
Siamo quasi alla conclusione del primo trimestre del 2024, quello dedicato al lavoro serio e focalizzato in classe. Ti consiglio di recuperare le newsletter precedenti (uno dei motivi per cui ho scelto di stare su Substack è proprio questo).
Intanto, avendo chiuso la newsletter scorsa parlando di mappe, ti allego le mappe che ho realizzato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Sarebbe interessante valutare quale ti appare più immediata e comprensibile. (Te le mostro secondo il mio gradimento dalla migliore alla peggiore).
Ora riprendiamo il discorso: quali sono i motivi per cui svolgere un lavoro focalizzato in classe è così difficile?
No. Non mi illudo di risolvere la questione con questa newsletter. Ma posso almeno offrirti alcuni spunti per individuare più facilmente i “nemici” da combattere nella pratica quotidiana.
Ci possono essere tanti perché alla base della difficoltà degli studenti a concentrarsi in classe, ad esempio:
Mancanza di interesse: Se il tema o il materiale che proponiamo non catturano l'interesse dello studente, può essere difficile trovare la motivazione per dedicarvisi.
Scarso valore attribuito alla scuola: nel sistema di credenze della persona, della famiglia o dei pari, l’istruzione non serve per fare soldi (che è l’obiettivo primario) ma non sanno trovare valide alternative o interessi. Non sono disposti a sacrifici, ma vogliono i soldi facili.
Ansia da prestazione: La paura di non riuscire o di non soddisfare le aspettative, proprie o altrui (in generale quelle dei genitori), può portare a evitare completamente lo studio per non affrontare la possibilità di fallimento. Oppure può essere un modo per affermare la propria identità contrapposta quella desiderata dagli ingombranti procreatori. Spesso è presente una disistima di sé: si parte dal presupposto che “tanto non ce la faccio”, oppure “il prof ce l’ha con me/è uno str***”, quindi non vale la pena impegnarsi.
Mancanza di obiettivi chiari: Senza obiettivi specifici e realistici, lo studio può sembrare privo di scopo o direzione, rendendo difficile mantenere la concentrazione e la motivazione. Questo accade nella stragrande maggioranza dei casi perché i docenti stessi, noi adulti, non abbiamo argomentazioni valide da proporre, se non: “ti serve per lavorare”, “almeno impari qualcosa”, “dove vai senza un titolo di studio?”. Nel momento in cui gli stessi che dicono queste cose si trovano davanti al fallimento del figlio che sta per essere bocciato, arrivano furibondi dalla dirigente protestando che “tu” non sai insegnare. “Suo figlio non vuole studiare quelle cose”, non lo dice nessuno.
Distrazioni e procrastinazione: L'ambiente circostante può essere pieno di distrazioni (come i social media, videogiochi, dark web, o anche la compagnia di amici poco interessati allo studio) che allontanano dall'impegno nello studio. Ma gli studenti possono essere anche preoccupati per la loro sorte in una separazione o avere problemi superiori alle loro forze da affrontare (in questo caso hanno bisogno di parlare…e noi di ascoltare). La tendenza a procrastinare amplifica questo problema. Noi siamo dei maghi a procrastinare, “fai domani quello che non vuoi fare oggi”. L’uso di sostanze stupefacenti, anche droghe leggere, aumenta la propensione alla distrazione (dormono spesso in classe)
Mancanza di una routine di studio efficace: Senza abitudini di studio consolidate o strategie efficaci, gli studenti possono sentirsi sopraffatti o confusi su come approcciare il materiale di studio, portando a evitare lo sforzo complessivo. A questo si aggiungono le baraccone che ci inventiamo per farli divertire come se la scuola fosse il Paese dei Balocchi e non un Purgatorio dantesco in terra. Purgatorio, non Inferno, perché la conoscenza eleva gli animi da Dante alle brugole, meglio sapere che non sapere.
Non penso di avere esaurito la questione ma queste sono le evidenze che ho incontrato più spesso. A quali di queste si può rispondere con il lavoro serio?
Iniziamo dalla procrastinazione: il fatto che noi per primi, come docenti, posticipiamo il lavoro, il nostro lavoro, ci dice quanto la procrastinazione sia pervasiva. Sicuramente ci ritorneremo. Ma l’unica arma per combatterla è la costanza. Vorrei scrivere un elogio alla costanza, ma è già stato condensato in quel “gutta cavat lapidem” di proverbiale memoria.
Proviamo a elencare alcune delle cose già dette e ripetute (oggi mi sento latina, repetita iuvant), che possiamo fare noi nel nostro lavoro per aiutare i ragazzi.
Pianificazione: è fondamentale pianificare le lezioni con attenzione in anticipo, garantendo una struttura chiara e logica. Fornisci agli studenti un programma delle lezioni dettagliato e stabilisci obiettivi specifici per ogni sessione, in modo che possano comprendere appieno cosa ti aspetti da loro.
Stabilire obiettivi chiari: All'inizio di ciascuna lezione, condividi con gli studenti gli obiettivi che hai: non solo sulla lezione, spiega quale capacità/competenza vuoi che raggiungano e poi dettagliato nella lezione giornaliera. Questo aiuta a dare loro una guida chiara e uno scopo definito per il loro impegno, rendendo il processo di apprendimento più significativo e coinvolgente, perché ne fanno parte.
Limitare le distrazioni: Mantieni l'ambiente di classe libero da distrazioni, come l'uso eccessivo dei telefoni cellulari. Se non possiamo eliminare i rumori esterni (il dolce soffuso disturbo del martello pneumatico o della sega circolare che si diffonde nell’edificio… quale amore!), possiamo evitare che siano ipnotizzati dalle notifiche del cellulare (che attivano la dopamina e la sensazione di piacere). Io lo faccio mettere sulla cattedra.
Suddividere la lezione in parti gestibili: Organizza il contenuto della lezione in segmenti più brevi e gestibili, è un metodo infallibile. Si fa step by step, funziona sempre anche con i più renitenti.
Attenzione alle tecniche di apprendimento attive: La diversificazione può attivare l’attenzione ma allontana l’obiettivo di una routine. L’elemento più importante è spesso lavorare sullo storytelling, il nostro storytelling. Lo usi?
Usare le pause attive: O anche le pause. Se le lezioni sono lunghe, prevedi brevi pause per consentire agli studenti di rilassarsi e recuperare l'energia mentale. Ma anche per la tua sanità mentale! Le pause attive sono una variante che favorisce la concentrazione e il benessere degli studenti, migliorando complessivamente la qualità dell’apprendimento. Si usano spesso alle primarie, ad esempio sacco vuoto, sacco pieno, oppure il gioco dell’omino fatto con le dita della mano che cammina sul corpo o intorno allo studente.
Revisione e feedback: Riserva del tempo alla fine di ogni lezione o unità per rivedere i concetti chiave e fornire feedback agli studenti. Oppure se non sei riuscita, fallo all’inizio della lezione successiva. Questo contribuisce a consolidare l'apprendimento e fornisce agli studenti indicazioni utili su come migliorare le proprie prestazioni.
Promuovere lo studio collaborativo: Incoraggia attivamente gli studenti a lavorare insieme in gruppi quando appropriato, ad esempio io ho sempre sollecitato i miei studenti ad andare in biblioteca a studiare insieme. Forse non li salva dalla perdizione ma sono certa che i libri sono sempre una buona compagnia.
Essere flessibile: Osserva costantemente l'efficacia del tuo modo di insegnare e sii pronto a fare aggiustamenti in base alle esigenze e alle risposte degli studenti. Essere flessibili e adattabili è essenziale perché il mondo è in tale fermento di cambiamento che non possiamo perderci nel “si è sempre fatto così”.
Ma in tutto ciò il segreto è la costanza, la fermezza nel dire “io ci sono per te” ogni volta che varchiamo la porta della classe. Perché è questa l’unica motivazione che regge nell’apprendimento: si impara perché qualcuno in qualche angolo della nostra esistenza non ha mollato con noi. E se ha funzionato con noi, funziona con i nostri studenti. Sennò perché dovrebbero fare qualcosa che non gli interessa nella maggior parte dei casi? Lo fanno perché interessa a qualcun altro, no?
A volte ai miei studenti domando: “Ma chi te lo fa fare, se non ti piace neanche un po’?”, “Eh, prof, mi dicono, sennò chi la sente mia madre?”. Ecco, il segreto è tutto qui: si fanno le cose perché c’è una relazione così determinante per cui non puoi non fare quello che ti viene chiesto (attenzione, se diventa ricatto, sorgono problemi molto seri). È uno dei motivi che mi fa dire che alla fine i ragazzi obbediscono sempre. Bisogna sapere che cosa gli stai chiedendo costantemente.
Se la consapevolezza del mio essere in classe si racchiude in un “io sono qui per te”, la richiesta diventa “voglio che tu sia qui per te, che ci sia tu, con tutto te stesso”. E qua cambia tutto. Ma ci vuole costanza.
Mark Manson lo chiama Il principio del “fai qualcosa”:
Alle superiori, il mio insegnante di matematica, il signor Packwood, diceva sempre: «Se sei bloccato su un problema, non restare fermo a pensarci sopra; comincia a lavorarci. Anche se non hai idea di cosa stai facendo, il semplice fatto di lavorarci finirà per portare nella tua testa le idee giuste».
Durante quel primo periodo, mentre lottavo ogni giorno, senza la minima idea di cosa fare e terrorizzato dai risultati (o dalla loro assenza), il consiglio del professor Packwood cominciò a risuonare dai recessi della mia mente. Lo sentivo come un mantra:
Non stare fermo. Fa' qualcosa. Le risposte arriveranno.
Mentre cerchi i tuoi nemici in aula, intanto fai qualcosa. Qualcosa su cui puoi agire, la tua lezione. Non ci accorgiamo di che strumento potente abbiamo in mano: gli insegnamenti ripetuti quotidianamente, come un mantra, forgiano. La costanza del ripetere è ciò che permette di scolpire delle persone.
Fa’ che le cose che ripeti più spesso siano perle di saggezza. Non saranno mai sprecate. Anzi, potrebbero soccorrere un tuo ex alunno in un momento di difficoltà. Questo non lo puoi mai sapere.
Qual è il tuo mantra a lezione?
Buon caffè ☕️
Simona