🤷🏻♀️ Perché la scuola va male?
Questa è la trentaseiesima newsletter del 2024. Prendiamo un momento per riflettere come siamo arrivati alla scuole che abbiamo. Per capire come costruire la scuole dei nostri sogni.
Si iniziaaaa
Ebbene sì, cara collega/ caro collega, questo lunedì per molti segna l'inizio della scuola. Quando ritorniamo baldanzosi o abbacchiati, rimuginando speranze, progetti e aspettative, non ci rendiamo conto di quale vetusta istituzione portiamo sulle spalle. Oppure siamo noi che ci saliamo sopra? Com’era quella frase “…..sulle spalle dei giganti”?
E no, non intendo il peso dei compiti da correggere!
Ogni tanto varrebbe la pena recuperare un pochino di memoria storica. Sapete, giusto per ricordarci perché stiamo facendo tutto questo.
E anche perché è difficile costruire il progetto di una scuola nuova se non sappiamo qual è la sua storia: come se fossimo degli architetti che devono ricostruire su un edificio già eretto, traballante e pieno di spifferi ma esistente.
Sarebbe bello accogliere il suggerimento di Cartesio e distruggere tutto per ricostruire…
È da tempo che mi sono reso conto di quanto di falso avevo preso per vero fin dall’infanzia e di come sia dubbio tutto quel che in seguito vi ho costruito sopra; ed è allora che ho capito che, se aspiravo a stabilire nelle scienze qualcosa di solido, destinato a durare, avrei quindi avuto da buttare all’aria tutto quanto [ac proinde funditus omnia semel in vita esse evertenda], per una volta nella vita, e ricominciare da capo.
Ricominciamo da capo ogni 1 settembre e, non so tu, inciampo continuamente sui “lasciti” del passato. Ad esempio, l’eterna questione del “voto”, di cui ci ricordiamo sempre alla fine dell’anno, ma mai quando siamo ai nastri di partenza.
Provo a rintracciare il filo della storia.
C’era una volta…
… un ministro del Regno di Sardegna che nel 1859 formulò una legge che stabiliva l'istituzione della scuola pubblica e il conseguente obbligo di istruzione. Questa legge, la legge Casati (come l'intero corpus legislativo sabaudo) viene estesa nel 1861 al neonato Regno d'Italia. Immaginate un po': una legge sarda che diventa italiana.
Lo scopo dichiarato era combattere l'analfabetismo che interessava (per essere ottimisti) l'80 per cento della popolazione. In pratica, quattro quinti degli italiani non sapevano leggere. (Oggi, invece, quattro quinti degli italiani non vogliono leggere e ci scontriamo con l’analfabetismo funzionale). Era così organizzata: la scuola elementare prevedeva i primi due anni obbligatori e gratuiti (poi vengono portati a tre nel 1877) più altri due anni gestiti da ogni Comune del Regno. I percorsi si dividevano: il classico comprendeva 5 anni di ginnasio e successivamente 3 di liceo; il tecnico era costituito da tre anni di scuola tecnica e tre anni di istituto tecnico.
Andiamo veloci…
Nel 1904, con la legge Orlando, si riporta a quattro il numero di anni delle elementari. Si stabilisce che dopo il quarto anno si poteva accedere, superando un esame, alle scuole secondarie. Chi non voleva proseguire gli studi poteva frequentare i due anni del corso popolare.
… fino a che il fascismo entra in classe
La grande riforma della scuola avvenne durante il fascismo, quando Giovanni Gentile, filosofo apertamente liberale, aderì incondizionatamente al progetto di Mussolini e fu nominato Ministro dell'Istruzione. Era un filosofo, prima di tutto, e aveva delle idee che applica in modo massiccio nella Riforma che da lui prende il nome.
Gentile aveva in mente una scuola severa, selettiva, pensata per le élites della classe dirigente. In pratica, se leggere, scrivere e far di conto era ritenuto utile per tutti, le scuole superiori e l’università dovevano essere riservate a pochi.
Un’idea che non si allontana troppo dalla proposta di Casati del 1859, con il quale anzi intendeva porsi in continuità ideale.
Certo, Gentile non aveva intuito quanto la politica di Mussolini mirasse a una visione antipopolare e antidemocratica in cui la scuola diventava mero strumento di adesione ideologica al regime fascista.
Tuttavia era fermamente convinto che l’educazione dovesse essere indirizzata agli uomini migliori, in una sorta di καλοκαγαθία1 de’ noatri, quelli che sarebbero andati a costituire la classe dirigente colta e illuminata che avrebbe guidato le sorti del Bel paese.
Così organizzò una ramificazione a livello di istruzione secondaria, con il ramo classico-umanistico-scientifico (aggiunse per esempio il Liceo scientifico) per gli alti gradi della società e uno tecnico-professionale per coloro che dovevano rimpolpare le fila delle classi impiegatizie. Gentile pensava a professioni di livello medio-alto, come ragionieri e geometri. Successivamente la scuola tecnica che dava la possibilità alle classi inferiori di salire socialmente e culturalmente fu soppressa perché ritenuta una scuola che deformava le menti e inaridiva i cuori.
Per quanto riguarda l’istruzione di base, solo le prime quattro classi delle elementari erano gratuite (e inoltre nel periodo fascista chi voleva accedere all’istruzione doveva essere iscritto al partito).
Non era sufficiente il conseguimento della licenza elementare: bisognava anche superare l’esame di ammissione. Gli esami sbarravano il passo continuamente.
Che cosa cambia con la Costituzione
Con la Costituzione del 1948 si arriva a quel dirimente "la scuola è aperta a tutti" che conosciamo. Ma è nel '68 che l'impalcatura gentiliana viene attaccata, se non altro nelle forme di sbarramento rappresentate dagli esami e nell'impostazione autoritaria.
La legge dell’11 dicembre 1969 liberalizza l’accesso universitario a ogni diplomato e qualche anno prima si istituisce la scuola media unica. La legge 517 del 1977 promuove in via definitiva una pedagogia inclusiva, eliminando la separazione per bambini e ragazzi con disabilità.
Con la riforma Moratti del 2003 e successivamente la legge 105/2017, si realizza (o si cerca di realizzare) quel “sistema duale di formazione e istruzione” e la flessibilità nel cambiare percorso di studi nel modo più agevole possibile per combattere la dispersione scolastica e il fenomeno sociale dei Neet (i giovani tra i 15 e i 25 anni che non lavorano e che non sono impegnati in un percorso di studi). L’obbligo scolastico è stato innalzato fino ai 16 anni d’età.
Nell’intrico delle leggi
La scuola è cambiata tanto nel corso del tempo, le leggi sono quasi infinite, sicuramente sono aumentate le garanzie e la tutela dell'istruzione.
Ma l'impalcatura di Gentile è davvero scomparsa?
La società nostra è zeppa di legisti e medici a spasso, con tanto di laurea incorniciata e appesa nel più onorevole luogo di casa. Essi hanno compiuto pessimamente gli studi universitari, come male hanno fatto i secondari, lamentando il sovraccarico ogni giorno con ogni maestro, pretendendo sessioni straordinarie di esami ogni anno, strepitando contro il greco sempre. Vorremmo riformare la scuola in servizio di costoro? A che pro? Costoro non sono nati agli studi; anzi fruges consumere! Sono numero; e non hanno diritto di fare i medici e gli avvocati. Stato guasto sarà quello che agevolerà ad essi la via dell’esercizio delle professioni liberali, che, per quanto professioni, presuppongono cultura scientifica [...]. Alla folla che guasta la scuola classica lo Stato deve assegnare non mezzi di dare comunque la scalata alle università, ma scuole tecniche e commerciali svariate, le quali [...] non devono dare adito alle università mai.
Non ricorda qualche pensiero diffuso?
Chi scrive è Giovanni Gentile, in una lettera nel 1905.
(Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, Firenze, Le Lettere, 1989)
Che cosa posso fare io
Che la base ideologica della nostra scuola sia influenzata capillarmente dall’idea di Gentile (e della sua epoca) è un dato di fatto.
L’urgenza con cui si presentano le povertà ereditarie e quelle educative non fa venire il sospetto che la scuola, anche quella pubblica, non sia davvero aperta a tutti ma solo a chi ha una situazione economico sociale medio alta. Le rilevazioni dicono senz’ombra di dubbio che la mobilità sociale funziona prevalentemente per chi proviene da una famiglia di classe media o superiore (Fonte Welforum, Osservatorio Nazionale sulle Politiche Sociali). Molti dati si trovano nel rapporto Caritas (lo trovi qui).
La contraddittoria credenza che la scuola non serva a niente (perché anche se non studi, puoi avere successo) ma che “avere il pezzo di carta” sia comunque utile, anzi necessario, secondo me, è un po’ la traduzione in chiave postmoderna dell’idea gentiliana. Per avere il pezzo di carta spesso occorrono investimenti e quindi non tutti ci arrivano.
Quello che trovo aberrante (è una mia opinione) è la convinzione che solo attraverso lo studio “di un certo livello” posso avere accesso alle migliori opportunità. Anche se diciamo che tutti hanno possibilità di riuscire, non ci crediamo fino in fondo e non agiamo di conseguenza. Non rischiamo.
La scuola aperta a tutti si traduce nell’idea che tutti siamo obbligati ad avere la laurea per essere considerati “di successo”.
Non è “vecchia” la convinzione che un titolo di studio debba essere usato per una scalata sociale?
Forse è il momento di ristrutturare questo pensiero, proprio come un bravo architetto, dando valore a tutti i percorsi che offre la scuola italiana, apprezzando la dignità di un lavoro “ben fatto”, rendendoci sempre più consapevoli che ogni professionalità dovrà fare i conti sempre più sovente con la necessità di formarsi continuamente. Lo dico a partire dalla mia formazione classico-umanistica.
Il punto su cui possiamo soffermarci (nella mia opinione) non è chi può o non può permettersi la scuola migliore, e neanche di quanta differenza riscontriamo in chi ha la famiglia alle spalle che attribuisce valore allo studio. Questi sono problemi molto al di sopra delle nostre possibilità quotidiane. Discuterne non cambia le cose.
Il punto è che differenza faccio io, con il mio insegnamento, nel permettere a tutti i miei studenti di scoprire quale strada percorrere con determinazione e dignità, che si tratti di zappare la terra o di scoprire la vita in un'altra galassia. Perché, sono convinta, la realizzazione personale, il senso di autoefficacia, la soddisfazione che deriva dal contribuire al miglioramento di questo pazzo mondo, non può prescindere dal lavorare (e lo studio è una tappa per arrivarci).
Noi costruiamo destini.
Anche se il fantasma di Gentile si aggira nei nostri corridoi, possiamo scegliere di ascoltare una voce diversa. La nostra.
Buon primo caffè dell’anno
Simona ☕️
PS: sono dei pensieri ancora acerbi ma spero che si capisca il senso.
Nell’antica Grecia classica era socialmente condiviso il valore del “bello e buono”: si esaltava chi era bello, era anche valoroso in guerra, e chi era forte era in possesso di tutte le virtù. L’obiettivo dell’educazione, paideia, greca era appunto questo: la bellezza come espressione “fisica” della bontà morale.
Io ti leggo sempre volentieri, perché riesci a mettere nero su bianco o miei garbugli 🧶Grazie.
"Noi costruiamo destini" è la sola frase con la quale si dovrebbe aprire e chiudere ogni collegio docenti di questi giorni...!