🎙️ #14 Ascolto
Questa è la quattordicesima newsletter del 2025. Inizia l'ultimo periodo dell'anno scolastico: per capire dove vogliamo andare, la competenza più utile che abbiamo è ascoltare.
Dopo il silenzio, l’ascolto
Venerdì sera, dopo l’incontro e la piacevolissima chiacchierata con Lucia Todaro, sono passata a bere una birra con alcuni amici. Ovviamente c’era anche Mascia.

Sulle sedie accanto, quasi per caso, ho rincontrato un mio ex alunno. Faceva parte di una classe difficile, che avevo ereditato da una professoressa che era stata anche la mia tutor. Loro erano molto legati a lei. E io pure.
Era una classe complicata, sì, ma io a quel ragazzo ero affezionata davvero. Mi ha raccontato che sta per diventare papà, giovanissimo. Abbiamo ricordato qualche episodio dei “vecchi tempi”.
Mi sono tornate in mente tante cose. Dicevo spesso ai miei alunni: “Posso riprendervi io, ma nessun altro può trattarvi male”. Una cosa un po’ ingenua, certo. Ma era quello che ricordavano. Che li si sentivano ascoltati.
E ripensando anche a quello che ci siamo detti con Lucia Todaro, mi è venuto chiaro un pensiero: dopo il silenzio, viene l’ascolto.
Della fatica di ascoltare
Il silenzio è il preludio dell’ascolto, perché ti mette nella condizione di poter sentire qualcosa di diverso.
E ascoltare davvero è molto più difficile di quanto sembri.
E ascoltare l’altro, proprio ascoltarlo, è una capacità sempre più rara. Lo vedo nei ragazzi, ma anche in noi adulti: ci parliamo sopra. Interrompiamo. Non ci diamo tempo, spazio, respiro.
È necessario fare silenzio per dare voce all’altro. Forse è qualcosa che si ha in modo innato. Non si impara ad ascoltare: si ascolta per imparare, come fanno i bambini, quando sono molto piccoli, che ascoltano “i grandi” per potersi muovere nel mondo.
Ascoltare è “passivo”?
A scuola ho ricominciato a usare una tecnica che adottavo alle medie: i turni di parola per esercitarsi ad ascoltare gli altri. Ma anche se stessi e quello che diciamo. Ho l’impressione che tante parole che volano tra i ragazzi vengano dette con la convinzione che “tanto nessuno mi ascolta”.
Perché il silenzio serve ad ascoltare gli altri, sì, ma anche ascoltare anche se stessi non è roba da poco. Perché è una competenza che implica una reciprocità: ascolto gli altri e ascolto me stesso, sopratutto quando gli altri mi ascoltano.
L’ascolto quindi non è passivo (come non ricordare l’ascolto attivo di Thomas Gordon…). Può esserlo, certo, quando siamo distratti. Le parole degli altri ci toccano. Risuonano.
Uno psichiatra, che ho conosciuto tanti anni fa, diceva che la voce è una cosa fisica. Come un abbraccio. O uno schiaffo.
Diamo poca importanza alla voce perché sembra intangibile e non la visualizziamo, eppure ha una concretezza fisica. Per Richard Wagner era la musica l’opera d’arte totale, Gesamtkunstwerk, per la sua capacità di “muovere l’animo”. Non a caso abbiamo un organo di senso preposto allo scopo di ascoltare.
Ci sono tanti insegnanti che sanno ascoltare: sentono le parole, colgono il tono, il ritmo, i vuoti. Le cose che non vengono dette. Ascoltare a volte assume il significato più lato di osservare. Decifrare. Cercare di comprendere il mondo, non solo ciò che ci viene detto, ma anche ciò che ci viene detto attraverso.
Qualcosa che porta all’azione
E forse è anche da qui che si comincia a capire dove vogliamo andare.
In un tempo in cui tutti vogliono essere ascoltati ma pochi si prendono la briga di ascoltare, l’ascolto torna ad essere una competenza rara.
Lucia Todaro ci ricordava questa distinzione: i motivi sono i “perché”. Ma la motivazione è il “per chi” e il “per cosa”. La motiv-azione è un perché che porta all’azione. Non resta in esposizione nella vetrina dei nostri ragionamenti, da spolverare ogni tanto per sentirci a posto con la coscienza.
Perché nelle parole c’è movimento.
E l’ascolto, quando è autentico, ci rimette in moto.
Ci aiuta a dare una direzione su cosa fare. Per noi, e per gli altri.
Buon caffè ☕
Simona