🪩 #18 Organizzare eventi
Questa è la diciottesima newsletter del 2025 e vi racconto come accade che mi penta delle mie idee, pur restando convinta che sia la direzione giusta.
Chi non fa non falla
Avevo scritto una bella pagina sulla mia idea di una didattica che desse senso. C’era anche un bel ragionamento, filava bene, sarebbe piaciuta.
Devo riscrivere tutto da capo perché, come mi accade troppo spesso, non ne sono soddisfatta. Non dice quello che voglio dire.
Volevo raccontare di questi giorni in cui, con i ragazzi, sto portando a termine tutto il lavoro di quest’anno.
La mia convinzione, dopo i primi anni di insegnamento, è sempre stata che l’ultimo mese di scuola serva per divertirsi, o meglio, per verificare se, quanto fatto durante l’anno, si può usare per giocare, creare, sperimentare.
Non perché sia del partito del buttiamola in caciara per far tacere genitori, blogger, ministri e chiunque voglia dire la propria (non richiesta) opinione, con la stessa testardaggine con la quale il cane del vicino pretende di far pipì proprio sulla ruota della mia auto…
Sono convinta che la corporeità sia ciò che ci permette di imparare: solo il coinvolgimento del corpo1 garantisce che l’apprendimento si insedi nelle nostre cellule. Non solo a livello cerebrale: mi viene da dire che la conoscenza si deposita sulla pelle, si stratifica nelle ossa, plasma persino il DNA.
Sofferenza civica
Quindi, ogni anno a maggio, interrompo le spiegazioni e parto con le attività di chiusura (ho un repertorio vasto, diverso per ogni classe). Ma quest’anno con le quinte è un momento cruciale: lascio o lancio ad andare nel mondo?
L’idea mi è venuta durante la maturità 2024, mentre rimuginavo (forse con una punta di rimpianto) sull’aver rinunciato alla cattedra che desideravo — e anche a questo occorre dare un senso.
In quel periodo leggevo Uno psicologo nei lager di Viktor Frankl. Deportato ad Auschwitz, aveva perso il manoscritto del libro a cui lavorava da anni, ma iniziò a riscriverlo su striscioline di carta recuperate nel campo. Frankl sosteneva che, se qualcosa aveva senso, allora anche la sofferenza doveva averlo. Per me, nella vita scolastica, la sofferenza più lancinante è l’accumulo di cose da fare senza alcun motivo. Un esempio: l’Educazione Civica2.
Durante gli esami di maturità, ho notato quanto il programma di Educazione Civica risultasse frammentato: ogni disciplina toccava qualche punto per completare le 33 ore, ma mancava una vera progettazione unitaria. Gli studenti non percepivano l’importanza di ciò che stavano facendo, e i loro interventi al colloquio erano spesso raffazzonati. Ho pensato che non basta “riempire” le ore di Educazione Civica: bisogna costruire un progetto che abbia un filo conduttore tra discipline.
Che cosa è l’esame di maturità
La mia domanda era: se l’esame di maturità rappresenta un rito di passaggio verso l’età adulta, che cosa sarebbe importante “dimostrare”?
Uno dei pochi modi in cui ci si può definire adulti è la consapevolezza che quello che faccio porta un contributo (buono o cattivo) al mondo in cui vivo.
Mi spiego: la prova dovrebbe mostrare se una ragazza o un ragazzo è in grado di partecipare alla vita sociale, portando pensiero critico e personale, intervenendo per rendere migliore il mondo in cui vive.
Che valore ha quello che faccio, la mia persona, il mio lavoro? Che contributo posso dare alla società? Come posso rendere migliore il mondo in cui vivo? Viktor Frankl, tra le tante osservazioni dell’umanità spogliata di tutto di Auschwitz, osserva3:
Quasi tutti avevano qualcosa che li sorreggeva: un pezzo di futuro. L’uomo ha invero un carattere peculiare: può esistere solo nella visuale del futuro; dunque, in un certo senso, sub specie aeternitatis. Nei momenti più difficili della sua esistenza, il prigioniero cerca rifugio in questa visuale del futuro.
Non volevo frasi fatte, sorrisi compiacenti, o testi scritti da ChatGPT.
Così ho progettato qualcosa che ha coinvolto studenti e colleghi per tutto l’anno, fino all’evento conclusivo. Non ho avuto la collaborazione di tutti, come si può immaginare.
Inizialmente ho proposto di aderire alla proposta di Sostegno a distanza di AVSI per far studiare due bambini, Nathaniel e Hope, a Nairobi.
Conosco da tempo Antonino Masuri, che lavora in Kenya alla Little Prince e a St. Kizito nello slum di Kibera, e sapevo di poterlo invitare a raccontare ai ragazzi cosa fa e come lo fa. Prima di accettare, volevo che i ragazzi conoscessero Tonino e poi decidessero. (E poi siamo andati tutti a mangiare insieme…)
Non fine a se stesso
Un’iniziativa di sostegno a distanza non doveva però restare un semplice versamento di denaro, ma diventare un percorso di impegno, riflessione e azione, capace di collegare le conoscenze scolastiche con la realtà.
Ho coinvolto i colleghi: nel laboratorio di chimica gli studenti hanno prodotto birra artigianale, e i docenti hanno suggerito di venderla a insegnanti e familiari e devolvere il ricavato per Nathaniel e Hope.
La vendita è andata benissimo e persino il mastro birraio del Birrificio Rurale (dove alcuni studenti hanno svolto il PCTO) ha lodato la bravura dei ragazzi.
Ma la quota raccolta non bastava, così abbiamo ampliato l’idea.
Un collega ha organizzato un collegamento con l’Università di Sassari su come realizzare birra sostenibile.
Alcuni studenti hanno organizzato una visita al Birrificio Rurale di Desio e Lorenzo Guarino, il mastro birraio citato sopra, ha spiegato i segreti della fermentazione, mescolando storia, marketing, scelte di vita, epidemiologia, tecnologia e batteri.

Ho chiesto ai ragazzi, come compito, di progettare soluzioni tecniche per i problemi concreti della scuola di Nairobi: alluvioni, emergenze elettriche, invasioni di cavallette, carestie, approvvigionamenti di qualunque cosa.
Per raccogliere altri fondi, abbiamo ideato un evento in collaborazione con il birrificio, abbinando tre autori studiati in classe a tre birre artigianali.
Questo evento — che stiamo finalizzando proprio in questi giorni — non è solo un esercizio didattico, ma un’esperienza che coinvolge testa, mani, tempo ed energie.
Connect the dots
Far partecipare tutti è impegnativo, ma l’obiettivo è che ciascuno contribuisca per il suo pezzetto, sapendo che fare tutto da soli sarebbe improponibile, soprattutto a un passo dagli esami.
C’è chi assegna i compiti, chi mantiene i contatti con la direzione commerciale del birrificio, chi prepara il volantino, chi manda le mail per gli appuntamenti, chi distribuisce i manifesti, chi contatta AVSI, chi si occupa del materiale tecnico.
Sarà qualcosa che gli studenti ricorderanno? Chi lo sa.
Ma la mia convinzione è che sai di poter essere utile agli altri perché hai contribuito a realizzare qualcosa e che il mondo esterno ha visto questo qualcosa.
Alcune idee che avevo ipotizzato all’inizio si sono rivelate binari morti, in una classe ho avuto una collaborazione da parte dei colleghi che nell’altra mi sogno e l’entusiasmo viaggia a corrente alternata… con la stessa logica per cui ho dovuto riscrivere tutto daccapo, mentre ci sono mille cose ancora da fare.
Ma se quello che faccio non avesse senso e non mi permettesse di unire i puntini, come dice Steve Jobs, non varrebbe la pena farlo. Infatti in generale non si fa. Esiste un video, famosissimo, del discorso tenuto da Jobs ai neolaureati della Stanford University il 12 giugno 2005. Jobs raccontò di aver abbandonato il Reed College dopo sei mesi, ma di aver continuato a seguire corsi non ufficiali, tra cui uno di calligrafia. In quel corso imparò i caratteri serif e sans serif, la spaziatura tra le lettere e l’estetica della tipografia. All’epoca, queste conoscenze sembravano inutili, ma 10 anni dopo furono fondamentali per progettare il Macintosh, il primo computer con font proporzionali e una tipografia avanzata. Senza quella scelta, sostiene il fondatore di Apple, i personal computer moderni (compresi quelli con Windows) non avrebbero avuto le caratteristiche grafiche che conosciamo.
Non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Dovete avere fiducia che, in qualche modo, i puntini si collegheranno nel futuro.
Un po’ come diceva Frankl, no? Viviamo per un pezzo di futuro. Ma non possiamo unire i puntini prima.
L’ingenuità di chi lavora a scuola è di non consegnare questi pezzi di futuro. Tendiamo, invece, a proporre attività di cui devono restare spettatori, non protagonisti.
Quest’anno ho voluto dare ai miei studenti l’opportunità di sentirsi protagonisti: responsabili, capaci di realizzare qualcosa di buono, pronti a salire sul palco per dichiarare che sono pronti ad andare nel mondo, a conquistarlo, a volare alto.
Mi sono resa conto che li stavo portando fuori dal mondo social e dentro i cosiddetti “terzi luoghi”: spazi reali, fisici, dove incontrarsi, scambiarsi idee, costruire insieme.
In un’epoca in cui perfino i social sembrano perdere presa, l’esperienza diretta torna a essere preziosa. Sono felice di avere dato retta al mio intuito e aver voluto un evento che mettesse insieme il sapore della poesia con quello della birra, con tante persone e sopratutto fuori: l’esperienza per essere matura non deve restare chiusa nel cerchio protetto della scuola.
Organizzare eventi a scuola significa questo: trasformare ciò che si studia in avvenimenti. Tre ingredienti permettono di unire i puntini:
avere un obiettivo chiaro,
la consapevolezza di poter realizzare qualcosa di buono,
poterlo fare con altri e per altri.
E magari — perché no? — cercare il senso di quello che facciamo con un po’ di convivialità può renderlo ancora più avvincente.
Buon caffè ☕
Simona
PS: questo è l’invito a partecipare.
Ovviamente non sono un’autorità scientifica in materia, ma in più di vent’anni di insegnamento questa è la certezza che ho maturato osservando come funziona l’apprendimento nell’essere umano. D’altronde leggiamo e ascoltiamo attraverso vista e udito che restano due sensi privilegiati, ma questo significa che maggiore è il coinvolgimento, migliore è l’apprendimento.
Quest'estate, durante gli esami di maturità, ho notato che il programma di Educazione civica era completamente frammentato nelle varie discipline, senza trasversalità né un progetto unitario. Ognuno seguiva più o meno le richieste della legge e si arrangiava pur di completare le 33 ore. Durante il colloquio orale dell’esame di maturità, infatti, gli studenti devono discutere anche del programma di Educazione Civica svolto. Solo chi aveva partecipato a esperienze pratiche — viaggi, attività peer-to-peer, laboratori — mostrava entusiasmo e comprensione reale. Faccio qui riferimento alla Legge 92 del 20 agosto 2019, quella che introduce l’insegnamento trasversale dell’Educazione civica, individuando tre nuclei tematici che sono stati ampliati dal Decreto ministeriale 183 del 2024, con le Linee guida in vigore da quest’anno (i nuclei sono: Costituzione, Sviluppo economico e sostenibilità, Cittadinanza digitale).
pag. 91, Uno psicologo nei lager, V. Frankl, Ed. Franco Angeli.
Grazie per questa condivisione, Simona. Veramente
Grazie a te Leti! Ho scoperto che Substack mi permette quel tipo di condivisione un po' più lunga, meno superficiale che mi aiuta a mantenere la concentrazione sulle cose che contano sul serio. Diciamo che sta diventando il mio momento di pulizia per arrivare all'essenziale.... Calvino apprezzerebbe (spero)