🛟 #21 Salvagenti
A ognuno il suo salvagente. Questa è la ventunesima newsletter del 2025 e ti propongo tre per tre salvagenti. Con un certo gusto per il gioco del paradosso. Quale è il tuo?
Le ultime due settimane di scuola si affrontano strisciando sui gomiti, contando i minuti e i secondi al suono dell’ultima campanella, aspettando il fatidico “liberi tutti” che ci farà tirare il fiato, almeno per un po’.
Chissà perché proprio adesso si accumulano impegni, scadenze, imprevisti. Esiste sicuramente una legge fisica per spiegare questo fenomeno: meno tempo hai, più cose hai da fare.
Come si sopravvive a questo periodo? Come si è sempre fatto, verrebbe da dire. Eppure qualcosa di diverso c’è, perché più si avvicina la fine e più pare lontano raggiungerla. Un po’ come il paradosso di Achille e la tartaruga, come teorizzò Zenone di Elea1: in questo continuo segmentare la distanza che ci separa dalla fine della scuola, la stessa distanza si allunga infinitamente.
Ma i docenti hanno sviluppato alcuni salvagenti per galleggiare in questi frangenti: chissà se c’è anche il tuo… ma se non c’è scrivimi.
Momento caffè
Non so se esista una ricerca scientifica ufficiale, ma sono convinta che la dipendenza da caffè negli insegnanti sia patrimonio immateriale della scuola italiana.
Caffè all’ingresso, caffè all’ora buca, caffè al cambio dell’ora, caffè prima, durante e dopo gli scrutini. Caffè mentre si correggono compiti, caffè nei corridoi tra un “Mi scusi, prof!” e un “Devo parlarle di mio figlio”.
La caffè-dipendenza permette di stringere legami, scambiare due battute, sfogarsi e dedicarsi a un po’ di gustoso gossip su colleghi, alunni, famiglie, attori, politici, sconosciuti…
Campioni olimpionici
Il lamento, la specialità in cui eccellono gli insegnanti. Il lamento è il nostro sottofondo costante: “Non ce la faccio più”, “Troppo caldo”, “Troppi compiti da correggere”, “Tutto sulle mie spalle”.
Lo so perché io sono insegnante e mi lamento, i miei colleghi più di me, ed è sempre stato così da quando ho messo piede in aula prof. È una sorta di esercizio collettivo che si tramanda nella professione di generazione in generazione.
Ci sfoghiamo. E nel farlo spostiamo fuori da noi un po’ del peso. Lamentarsi diventa quasi un gesto terapeutico: esplicitiamo l’insostenibile leggerezza dell’esser insegnanti e, in un certo senso, ci sentiamo legittimati a continuare.
Noi ci lamentiamo. Ed è molto faticoso.
Evitare la fatica si può
ChatGPT o Gemini non importa, l’intelligenza artificiale è stata sdoganata nel nostro lavoro. Ora che abbiamo scoperto che qualcun altro può fare alcune cose al posto nostro… come dire… non ci lasciamo certo scappare l’occasione. Mica siamo scemi.
Certo, agli studenti cerchiamo di vietarla, di limitarne l’uso: devono ancora imparare, devono “farsi le ossa”. Ma noi – formati, navigati, adulti – ci sentiamo autorizzati ad affidarle verifiche, esercitazioni, proposte di lezione.
Perché sì, ci fa tirare un sospiro di sollievo sapere che qualcosa può essere alleggerito. Ogni tanto, però, ci dimentichiamo che l’AI può sbagliare e a volte per fare prima facciamo le peggiori schifezze.
Alla fine sono tutte cose che, paradossalmente, peggiorano la qualità della nostra vita scolastica. Siamo stanchi e irritabili, i ragazzi agitati, nessuno sopporta più nessuno, sbuffiamo da mane a sera, siamo stufi di tutto e della scuola nello specifico.
Il caffè ci agita ancora di più. Il lamento ci incupisce. L’AI ci illude e ci delude.
Se fossi una coach seria, una vera fan della crescita personale, in questo momento ammorberei questa newsletter cercando di convincere tutti a fare passeggiate rigeneranti, a respirare profondamente, a leggere un buon libro all’ombra degli alberi. Sono tutte attività che che fanno bene. Disintossicano il cervello, abbassano i livelli di stress, rimettono a fuoco le priorità.
Ma… diciamo la verità
Ma se sono nel vortice delle scadenze, se sto chiudendo quadrimestri e registri, se devo rivedere un’unità perché l’ultima verifica è andata male… lo so già: non ho tempo per passeggiare, né per leggere, né per ricordarmi di respirare.
L’urgenza diventa tiranna e ci fa dimenticare tutto il resto. Ed è questo il bello.
Posso abbandonarmi al mio delirio, sapendo che mi mancherà ma è bene che si concluda a breve. La fine dell’anno ci consente di abbandonarci alla girandola che ci sommerge, sapendo che è temporanea. È faticoso, sì, ma è anche una forma di chiusura, quasi rituale.
Nelle ultime settimane, mentre in classe interrogo, faccio attività, risolvo dinamiche tra alunni, correggo e compilo, cerco, nel caos, di ascoltare.
Per capire. Per orientarmi. Per intuire dove indirizzare il mio lavoro l’anno prossimo.
I miei salvagenti veri, quelli che funzionano, sono questi:
Ascoltare per capire
Che strada ho percorso quest’anno? Dove ho sbagliato? Cosa posso migliorare? Quali progressi, piccoli o grandi, hanno fatto i ragazzi?
Catturo sguardi, parole casuali, impressioni.
Sono indizi che mi orientano, mi aiutano a immaginare cosa ancora si può costruire.
Divertirmi

Mi diverto un mondo a far svolgere le attività conclusive: a maggio cerco sempre di tirare le fila e, siccome siamo tutti esseri materiali, mi piace mostrare come quello che abbiamo fatto si concretizzi in qualcosa di concreto. Mentre nelle quinte stiamo facendo il ripassone di tutti i programmi con simulazioni d’esame, in prima lavoriamo con tutto quello che ora sappiamo della lingua italiana (dalla morfologia alla sintassi della frase e del periodo), e lo rielaboriamo con gli albi illustrati (spesso di Terre di Mezzo2).
Il clima in classe è più frizzante, si sente la qualità del rapporto che si è creato, e qualche risata sincera scioglie anche la stanchezza più dura.
Il clima è frizzante, il rapporto umano è maturo, e qualche risata sincera scioglie anche la stanchezza più dura.
Ponti
L’estate, a volte, sembra un punto a capo troppo netto.
Lancio ponti per l’anno che verrà.
Così alla fine dell’anno spiego qualcosa che non interrogo, solo per il gusto di fare una cosa bella, che gli faccia compagnia (ogni tanto ci pensano) durante l’estate: la interrogherò a settembre, quando si ritornerà a scuola.
È uno dei motivi per cui mi piace l’idea di Terre di Mezzo: presentare novità editoriali per il prossimo anno significa lasciare qualcosa in sospeso, qualcosa che potrà fiorire più avanti.
E ora torno a nuotare tra le mille cose da fare.
Ma tu? Qual è il tuo salvagente?
Iniziamo con un buon caffè ☕
Simona
Quando si inizia a studiare filosofia, questi sono i primi ostacoli che si incontrano. Questo paradosso nello specifico viene proposto per dimostrare che il movimento è un’illusione: Zenone, fedele discepolo di Parmenide. Zenone sostiene che Achille, pur essendo più veloce, non raggiungerebbe mai la tartaruga che ha un vantaggio iniziale, perché ogni volta che arriva dove lei era, questa si è già spostata un po’ più avanti. Questo processo, teoricamente infinito, sembra impedirgli di raggiungerla. Tuttavia, la matematica moderna risolve il paradosso: le distanze sempre più piccole che Achille percorre formano una serie geometrica convergente, la cui somma è finita. Quindi, nonostante l’infinità dei passaggi, Achille raggiunge la tartaruga in un tempo finito. Il calcolo infinitesimale ci toglie dall’imbarazzo di dimostrare che, nella realtà, Achille può raggiungere la tartaruga.