🤔 Che parole usare
Questa è la trentesima newsletter del 2024. Ci dedichiamo alle parole, alle guerre che combatto e al cammino che possono percorrere per arrivare.
Quando sono meno sotto pressione, mi soffermo maggiormente nell’osservare le persone. È con le persone che intratteniamo relazioni e, sulla difficoltà nelle relazioni, ci sono aziende che costruiscono imperi. Più concretamente rimando volentieri a quanto scrive Simona Butò qui.
Ho raccolto alcuni pensieri. Il primo ve lo racconto ora.
Qualche giorno fa parlavo con una mia amica che da poco si è separata. Il suo ex è un narcisista fotonico, ha un’altra donna ma non smette di farle dispetti. E lei di rimando puntualizza, chiede correttezza, mette paletti. Mi racconta: “allora gli ho risposto che abbiamo degli accordi e vanno rispettati, non mi può dire le cose all’ultimo. Ma se io dico di no ai ragazzi, sono io la stronza”.
Che emozione comunicano queste parole? Che sentimento rimandano? Come ci coinvolgiamo con loro?
La scelta delle parole dice che c’è un risentimento forte, cosa che da donna non posso non comprendere e condividere, e che non potendo agire in modo sconsiderato perché è una che si attiene alle convenzioni sociali, rimanda a un rispetto delle regole.
È tutto giusto. Il ragionamento, intendo. E infatti non posso che concordare con lei e sentire la sua frustrazione come se fosse mia.
La situazione però è senza via d’uscita. Cioè andrà avanti così fino a che la parte prevaricatrice non si stuferà di questo gioco.
E invece c’è un modo per cambiare le cose.
“Le parole che usi dicono da dove vieni,
le parole che scegli dicono dove vuoi andare”
dice sempre Paolo Borzacchiello in ognuno dei suoi libri, eventi, interventi. E che piaccia o no, il ritornello (che riassume un po’ il succo dell’intelligenza linguistica) ha del vero.
Le nostre parole, quello che diciamo, descrivono la realtà che viviamo (anche interiormente). Perciò modificando le parole, si modifica la realtà che vediamo.
Una delle dimostrazioni più convincenti l’ho trovata in “Metafora e vita quotidiana” di Georg Lakoff e Mark Johnson (ne ho parlato nel passato episodio), che nell’edizione italiana è arricchito proprio dalla presentazione di Borzacchiello dal titolo Come questo libro ti può cambiare la vita (per davvero).
Gli autori presentano la metafora LA DISCUSSIONE É UNA GUERRA:
Se siete impegnati in una conversazione (che è dotata almeno di queste sei dimensioni di struttura) e percepite che essa sta trasformandosi in una discussione, cosa è esattamente che percepite oltre al fatto che state conducendo una discussione?
La differenza fondamentale è la sensazione di avere ingaggiato un combattimento. Vi rendete conto che avete un'opinione che è importante per voi e che l'altra persona non accetta. Almeno uno dei partecipanti vuole che l'altro rinunci alla sua opinione e ciò crea una situazione in cui c'è qualcosa da vincere o da perdere. (…) Il senso di stare combattendo una battaglia deriva dalla sensazione di trovarsi in una situazione simile alla guerra, anche se non c'è alcun reale combattimento - dal momento che si continuano a mantenere le formalità della conversazione. Vivete l'interlocutore come un avversario, attaccate le sue posizioni, cercate di difendere le vostre, e fate quello che potete per far arrendere l’altro.1
Ma se io mi rendo conto che a volte le mie discussioni prendono la strada dell’attacco bellico, posso ritornare appunto sulla strada e cambiare la metafora che utilizzo per concettualizzare il momento che vivo.
Magari posso considerare che LA DISCUSSIONE É UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELL’ALTRO è più indicata per relazionarmi con il mio “avversario” che può diventare un “compagno di viaggio” o un altro “viandante” come me.
Una metafora che sta alla base, ad esempio, del “Manifesto della comunicazione non ostile”, ad esempio, il n. 5: Le parole sono un ponte.
Nel caso della mia amica, per tirarsi fuori da una dinamica in cui lei si sente sempre sconfitta (e chiaramente questo è lo scopo delle azioni e delle parole dell’altro), il cambiamento deve cominciare proprio da lì.
Può iniziare a pensare che non è una sconfitta lasciare spazio all’altro genitore, e può iniziare a dire: “ma certo! Che bella idea, ti ringrazio che ti preoccupi di lasciare del tempo per me stessa”. Garantisco risultati in tempo zero.
L’attenzione si è spostata da “fa apposta, sto male” a “fai apposta? Ne approfitto per stare bene”.
Non è sempre facile per me cambiare le parole nella mia testa. L’estate, con le sue conversazioni sotto le stelle, le passeggiate, le cene e gli aperitivi, mi sollecita a soffermarmi su questi “esercizi” di linguaggio.
Magari la prossima volta vi racconto un altro aspetto su cui mi sto soffermando in queste giornate più lente.
Buon caffè
Simona ☕️
G. Lakoff e M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, ROI Edizioni 2022, pag 117