🎯 Di cime e obiettivi
Questa è la trentatreesima newsletter del 2024 e ci orientiamo ad un rientro a scuola che abbia il sapore di direzioni significative e di obiettivi che inneschino buone pratiche. Per stare bene
Al termine dell’anno scolastico è stata inviata dal MIM una mail a tutti i tutor chiedendo una valutazione sull’orientamento.
Il mio personale pensiero è molto pragmatico (ma nel test non c’era verso di farlo sapere alle alte sfere). Si può sintetizzare in questa maniera:
Se io voglio orientare, cioè spingere verso una destinazione qualcuno, devo per lo meno avere in mente uno scopo che possa fornire una direzione ragionevole al mio e al suo agire. A volte lo “scopo” del lavoro come mantenimento, indipendenza economica, realizzazione personale, non è sufficiente a motivare. Anzi, direi che sia sempre più evidente come non lo sia più abbastanza per i giovani oggi. In alcuni casi proporre un’idea di mondo in cui il mio piccolo pezzetto contribuisce a migliorare la vita di tutti (come accade nella sostenibilità ambientale, che fa molta più presa) può convincere di più.
Resta però il fatto che uno scopo “alto” è lontano e distante e a 17 anni posso non vederne l’importanza né tanto meno la necessità. Devo poter toccare con mano che la strada è quella giusta: a questo servono gli obiettivi, degli scopi che rendono possibile, con la politica dei piccoli passi realizzare qualcosa di bello nella propria vita in vista di uno Scopo che illumina senso e direzione.
Ma noi, nella scuola, non siamo abituati a ragionare per obiettivi, anche se li scriviamo ogni anno. Cioè gli obiettivi sono i risultati che devono raggiungere gli altri (gli studenti) attraverso la programmazione che facciamo noi (che peraltro è quella che esiste dall’epoca dei dinosauri anche se le copertine cambiano ogni anno).
Perciò la domanda che dovremmo imparare a porci, a farci, (a farci è meglio), che dovrebbe guidare il nostro lavoro quotidiano sarebbe:
Quali obiettivi vorrei raggiungere per la mia classe?
Attenzione: personalmente nutro una profonda convinzione sul fatto che sia necessario riconoscere uno scopo, un senso, un significato che si attribuisce al proprio vivere e agire nel mondo. Almeno un’idea per cui siamo qui per rendere migliori noi stessi e la vita di quelli intorno a noi, se non addirittura il mondo, mi pare una direzione sufficiente ad abbellire la realtà che ci circonda.
L’ideale lontano, alto o encomiabile però diventa irraggiungibile (e alla fine si abbandona) se non si rende “umano” concreto e affrontabile in un obiettivo. Ad esempio, io vorrei rendere la scuola un posto migliore, ma non sono il genio della lampada e nemmeno il Ministro della D’Istruzione.
Posso decidere di non fare niente perché non ho abbastanza potere oppure posso lavorare con serietà nella mia classe sapendo che non ho il dono dei miracoli né tantomeno dell’infallibilità, magari perché i miei studenti sappiano scrivere correttamente in italiano o non si abbattano di fronte a un brutto voto o che apprezzino una pièce teatrale.
Scegliere l’obiettivo non è mai un’operazione banale.
Per far questo è utile ricorrere a un pensiero strategico. Quindi, se vuoi, come me, lavorare per una scuola migliore, condivido quello che faccio io, da ormai diversi anni:
Primo passo: Quali problemi vedi nella scuola/educazione attuale nel tuo contesto?
Questo permette di rendere concreto il mio desiderio di stare bene in un ambiente a volte stantio e soffocante come la scuola.
Secondo passo: Come lo risolveresti? Quale azione svolgeresti per intervenire?
Terzo passo: Fallo con costanza, tutto l’anno. Certo, correggi il tiro, se puoi perfezionare il tuo progetto. O cambia strada, se ti accorgi che stai sbagliando. Ma abbi la tenacia, la disciplina e la perseveranza di portare avanti per tutto l’anno un progetto.
Il dramma della scuola non è che non si fa niente, ma che si faccia troppo senza farlo con continuità. Non si costruisce se si cambia strada ad ogni soffio del vento e i nostri studenti sono in balia di chimere che promettono e non mantengono.
Quello di cui c’è bisogno per crescere è la presenza di adulti che non illudano, che siano presenti, che realizzano quello che dicono.
Il primo passo per ottenere qualcosa è… sapere che cosa ottenere. Per individuarlo occorre sicuramente un periodo di osservazione e tuttavia questo può non essere sufficiente per individuarlo.
Non mi riferisco agli obiettivi che si chiede di raggiungere a livello nazionale o territoriale, indicati nel Ptof. Questi sono sempre indicativi e generalizzati su un contesto molto più ampio del gruppo classe. È un errore comune limitare gli obiettivi a quello che ci viene indicato nel Ptof o nelle Indicazioni nazionali.
Facciamo un esempio pratico: nella mia scuola uno degli obiettivi più importanti è raggiungere buoni livelli per la comprensione del testo (anche per avere valutazioni migliori negli Invalsi che, per chi non lo sapesse, sono le rilevazioni di qualità dell’insegnamento che considera il RAV, il Rapporto di Autovalutazione della scuola e sulla base del quale si redige il Piano di Miglioramento).
Per raggiungere dei risultati apprezzabili non posso limitarmi a fare comprensioni del testo: questo, storicamente, non è sufficiente a migliorare “lo stare bene a scuola”. Nel migliore dei casi posso riconoscere prestazioni più alte.
Poniamoci delle domande, invece. Perché i ragazzi si trovano in difficoltà nella comprensione del testo? Quali parti della comprensione del testo non sono consolidate? Non capiscono nessun testo o un testo specifico?
Se la risposta che diamo è, in sintesi, “è tutta colpa di questi genitori che se ne fregano dei figli o si intromettono troppo”, alzeremo le braccia e non potremmo combinare niente. Oltre al fatto che stiamo mescolando mele con pere.
Ad una osservazione puntuale può emergere invece che la classe comprende complessivamente bene un testo narrativo ma si trova in difficoltà sul testo poetico. Oppure sono in grado di rispondere prontamente sullo svolgimento dei fatti e i significati letterali ma non sembrano cogliere il sottotesto e tutto l’aspetto simbolico o emotivo gli resta oscuro. O invece possono trovarsi a loro agio nell’individuare sentimenti e emozioni del protagonista, formulare ipotesi e immedesimarsi eppure nella organizzazione sintattica della frase si perdono, non colgono i dettagli del linguaggio. Mi sembrano differenze abissabili che richiedono approcci ed esercizi completamente diversi.
Per poter raggiungere un obiettivo reale e realistico abbiamo bisogno di individuare la debolezza, l’ostacolo, l’errore, il punto su cui lavorare, che sarà più specifico e limitato ma quantificabile e misurabile.
Come dico ai miei studenti, se volete mangiare una torta intera non ve la infilate tutta in bocca perché sennò vi strozzate: la dividete e la mangiate fetta dopo fetta. Stessa cosa se volete scalare una montagna non prendete la rincorsa per giungere alla cima ma dividete il percorso in parti più piccole perché l’obiettivo è arrivare, non distruggervi.
Raggiungere un obiettivo quantificabile ha il vantaggio di aumentare anche il senso di autoefficacia sia mio, da docente, sia degli studenti.
So che posso affrontare un pezzo più ripido perché ho già superato con successo un primo percorso.
Forse non si arriva subito alla cima, ma è più vicina di prima. Porsi un obiettivo lontano e generico significa restare sempre fermi o avanzare troppo lentamente perché la distanza non si accorcia mai.
Oltre il modello SWOT che ti ho proposto la scorsa settimana, ci sono altri strumenti, il modello Canvas e il modello AEIOU, che ho adattato per le classi dal libro Manuale di Design Thinking, M.Lewrick, P.Link, L. Leitfer, ed. LSWR.
A me ha molto aiutato per individuare elementi utili a fissare degli obiettivi raggiungibili. Per scegliere degli obiettivi occorre analizzare il nostro contesto, chi abbiamo davanti, dove stiamo lavorando.
Analizzare la situazione significa sciogliere (ἀνάλυσις deriva dal verbo sciogliere) sciogliere i nodi principali di difficoltà, scomporre in parti più piccole e semplici.
L’impazienza è un tratto giovanile (che ci mantiene giovani) ma l’insegnamento è un esercizio costante della pazienza. Non dell’abbassare le aspettative.
La soddisfazione la danno le alte cime.
Buon caffè
Simona ☕️