Ciao,
La scorsa volta abbiamo individuato un desiderio, un traguardo che tutti vorremmo raggiungere: essere come il prof. Keating nel L’attimo fuggente. Ispirare e influenzare positivamente i ragazzi, magari senza spingerli al suicidio. Affascinare gli studenti. Essere carismatici, insomma.
E poi ti ho detto come pianifico il mio lavoro in quattro periodi nell’anno e come scovo il lavoro che svolgerò in classe con i ragazzi per tutta la durata dell’anno. Con tre caratteristiche: semplice, concreto e comprensibile.
E ti chiedi: che diamine c’entra avere carisma sui ragazzi con l’individuare un lavoro, un hard work, da svolgere durante tutto l’anno?
Bella domanda, sono felice che non ti sia sfuggito questo dettaglio. Intanto però, come Mary Poppins, mettiamo in chiaro una cosa: io non spiego mai niente. No, non è vero. Io, dico sempre, non faccio mai niente a caso. Sono una estrema sostenitrice dell’economicità delle azioni che si svolgono in classe, a scuola, perché detesto gli sprechi (anche se non sempre sono virtuosa) di tempo e di energie. La prima forma di rispetto per se stessi e per gli altri è avere cura del proprio e del loro tempo: quindi il tempo va utilizzato correttamente. Non può essere “inutile, vano, vuoto”.
Individuare un lavoro cui dedicarsi durante l’anno è fondamentale: nessuna relazione vera nasce stando con le mani in mano a fare nulla di utile. Come nelle migliori tradizioni di Hollywood, le relazioni di amicizia, di amore, di odio persino, nascono facendo qualcosa insieme.
Ma SE quello che si fa insieme è insignificante, noioso e banale… che relazione potremmo creare su queste basi?
Quello di cui abbiamo paura tutti è la fatica: per questo noi insegnanti proponiamo o compiti troppo facili oppure aridi come la sterminata distesa del Sahara. Per creare delle relazioni sane e costruttive a scuola dobbiamo partire dalle basi e proporre dei compiti sfidanti.
Prima di tutto dobbiamo mettere bene in chiaro la sfida: non deve essere un compito impossibile ma deve mostrare tutta la sua difficoltà. Non solo per gli scarsi ma anche per quelli bravi (che faccio sennò? Mi gioco quelli che possono trainare il gioco perché è troppo facile e non vale la candela? Siamo impazziti?)
In secondo luogo, occorre chiarire il beneficio (o il vantaggio): se raggiungo questo, ottengo qualcosa che mi interessa. Si può puntare ad obiettivi individualistici ma anche un pochino generosi ed altruisti, con una accortezza: pietà non siamo leziosi o sdolcinati. Quando sento certe dichiarazioni di affetto zuccheroso in contesti di materne o primarie, mi domando quanto si possa radicare nel pensiero del bambino questo insegnamento: che cosa succederà quando diventerà un adolescente allo stesso bambino che vedrà la stessa maestra che gli impartiva lezioni di amore universale inveire contro la collega in corridoio? L’ipocrisia per gli adulti è dietro l’angolo ed è il modo più sicuro per giocarsi qualunque fiducia con bambini e ragazzi. Obiettivi più razionali e meno sentimentali aiutano: ad esempio, se tu sei di buon umore, stiamo meglio tutti. Se non sei di buon umore, aspetta che torni, con pazienza facendo qualcosa che ti rassereni. Evidente e conveniente, tutto in uno.
In ultimo, ma non meno importante, deve essere economico. Cioè non si può fare il passo più lungo della gamba. Parlando di passi: se voglio raggiungere l’Everest, che è una bella sfida e sarebbe così bello per tutti noi finire sulle prime pagine di tutti i giornali, non posso pensare di fare un enorme passo da gigante per garantirmi l’immortalità. Non funziona così. Ma spesso a scuola gli insegnanti fanno proposte del genere e infatti gli studenti, obbediscono nel migliore dei casi, ma non imparano nulla. È la tattica di piccoli passi che vince, perché è così che si impara a camminare, a conoscere il terreno e si raggiunge la cima dell’Everest senza morire di freddo e sforzo. Un passo dietro l’altro e ad ogni giorno la sua dose di passi.
Nelle mie classi, che ormai sono terminali, volevo proporre qualcosa che gli permettesse di arrivare alla maturità con meno angoscia. Ho l’ambizione di preparare i miei studenti ad affrontare le sfide, senza sottrargli la paura, ma essere consapevoli di avere lavorato per quel momento.
Quindi abbiamo osservato che nell’elaborazione della traccia si perdevano, non riuscivano a fare collegamenti, sviluppare un discorso, approfondire con argomentazioni e ampliare con argomenti svolti durante l’anno o gli anni precedenti. Anche nell’orale avevano la stessa difficoltà.
Perciò lavoriamo sui collegamenti, tutti i tipi di collegamenti che possiamo fare. Nel piccolo della disciplina per iniziare. Ma anche nell’attualità: le tracce della maturità prevedono diversi argomenti di ampio respiro, dal tempo alla vecchiaia, dalle armi chimiche all’importanza della formazione.
Quale strumento mi permette di sviluppare questa capacità? Abbiamo detto che dobbiamo essere concreti, no? Ho scelto le mappe: quest’anno mappe a volontà in tutte le salse.
Non ho bisogno di rivoluzionare la didattica per fare qualcosa di significativo: per me le mappe sono uno strumento eccezionale che troppe volte viene banalizzato. Sottile ma vera polemica: le mappe sono il modo in cui si forma il mio pensiero, non può essere presa a prestito, copiata ed essere efficace allo stesso modo. È l’equivalente visivo delle connessioni neurali che accendono i corridoi elettrici del mio cervellino. Per questo è uno strumento che andrebbe trattato con più considerazione.
Il lavoro, la scelta del lavoro, compete ai docenti: se conoscessi l’arte della guerra (quel libro del generale cinese Sun Tzu) sapresti che i grandi strateghi fanno molta attenzione ad non cedere all’avversario il privilegio di scegliere il campo di battaglia perché sanno che determina volte la vittoria o la sconfitta. Certo: non è una guerra contro gli studenti, ma contro l’ignoranza e la superficialità sì. Perché dovresti compromettere l’apprendimento dei tuoi studenti non scegliendo adeguatamente il campo su cui si giocherà?
Qual è dunque il terreno in cui hai deciso di costruire la relazione con i tuoi studenti quest’anno?
Buon caffè di rientro
Simona