💪 Il superpotere più grande è la capacità di cambiare se stessi
Lo dice Naval Ravikant e questa è la diciassettesima newsletter del 2024. E parliamo di come si raccontano gli insegnanti.
Sono qui da almeno un’ora per capire da dove approcciare la questione.
Nella mia mente è chiara: le “storie” intorno agli insegnanti ci sono entrate dentro come un veleno e ora non riusciamo a liberarcene. Ci sono delle storie di maestri eccezionali di cui i film sono pieni, ma anche e sopratutto quelli che abbiamo potuto incontrare nella realtà, penso ad Einstein o a Richard Feynman, o Erin Gruwell o Socrate… L’elenco potrebbe essere interminabile.
Ma ormai non sono più ispirazioni di modelli eccezionali, ma il termine di confronto con il quale vengono giudicati gli insegnanti.
È uno dei motivi per cui raccontare diversamente gli insegnanti è essenziale. Ma chi dovrebbe farlo? Gli insegnanti, noi, noi stessi.
Iniziamo dal principio.
Agli insegnanti vengono rivolte delle critiche.
Preciso che io, senz’ombra di dubbio, trovo particolarmente fastidiose le osservazioni provenienti dall’esterno, di quelli che la scuola l’hanno conclusa da un po’ e che ci passano di straforo solo per tenere conferenze (con generosi cachet). Senza voler esaurire l’argomento (sennò la lamentatio potrebbe terminare), dò qui un breve sunto degli argomenti più gettonati.
Ecco qui alcuni motivi per cui noi insegnanti possiamo finire nel mirino, giustamente o meno:
Sul banco degli imputati per i voti: È facile puntare il dito sugli insegnanti quando gli studenti non brillano nei test, ignorando che non sono maghi e che non possono controllare ogni variabile.
Duello metodologico: Si dice che alcuni insegnanti siano rimasti intrappolati in un vortice di metodi didattici d’antan. Il vintage però è di moda…, ma forse anche il sistema è un po' polveroso.
La giungla della disciplina: Troppo rigidi o troppo morbidi? Come insegnanti si cammina su un filo sospeso sopra l'abisso del giudizio pubblico nella gestione dell'ordine in classe. Appena metti male il piede, la frittata è fatta.
Quando il telefono non squilla: Se non sei in costante contatto con i genitori, preparati a un siparietto di sguardi accusatori. Quello che che un insegnante può fare in 24 ore è rendicontare sempre.
La tecnologia, amica e nemica: Se non stai usando l'ultima app educativa, sei fuori moda. Oppure abbandoni il campo e ti lasci sorpassare dai nuovi modi di copiare.
Stili a confronto: Nonostante gli sforzi, non tutti gli studenti risponderanno allo stesso modo all'insegnamento. E quindi inizia la gara ad etichettare l'insegnante come sordo alle esigenze individuali.
Il teorema del favoritismo: C'è sempre qualcuno che pensa che l'insegnante abbia i suoi preferiti. Sarà anche solo una questione di dinamiche di classe, però certo a tutti fa schifo lo studente che studia e fa i compiti e non bestemmia quando lo inviti a farsi interrogare. Sono decisamente delle preferenze immotivate.
Teaching to test, o la vita oltre le bolle: L'accusa di preparare gli studenti solo per superare il test, trascurando l'apprendimento vero e proprio, è un classico. Cari, è il sistema che premia il risultato, non il processo.
L'equazione stress-lavoro: Quando gli insegnanti sembrano distratti o stanchi, potrebbe essere il segno di un carico di lavoro che supera l'umano, non di un interesse scemato.
Crescita professionale in pausa: La formazione continua è fondamentale, ma a volte gli insegnanti sono talmente sommersi di lavoro che è difficile trovare il tempo per studiare altro. Avete mai aperto una casella di posta degli insegnanti? Arriva di tutto, correzioni sulle correzioni, precisazione sulla precisazioni, mail dei genitori, richieste degli studenti, domande delle case editrici, inviti vari…
E come insegnanti possiamo, come spesso accade, difenderci spiegando che dietro ogni punto critico c'è una storia non detta, un contesto non visto e un cuore che batte per l’educazione (ma sarà sempre così?). Esistono delle possibili spiegazioni a questa tragica situazione in cui versa l’insegnamento in Italia?
Allora, mettiamoci comodi e iniziamo ad andare oltre quella narrazione un po’ desueta e spesso ingiusta che si lega agli insegnanti come una vecchia etichetta che non si stacca più. Prendiamo in esame dieci aspetti che vengono alla ribalta quando a parlare sono gli insegnanti.
Il factotum della scuola: il grosso non è insegnare ma sopravvivere ai i salti mortali tra amministrazione, burocrazia, valutazione, PNRR, progetti, corsi e corsetti, inglese, teatro, Ed civica, rappresentanti dei classe, domande, sindacati, vado avanti? Un circo senza applausi che può davvero prosciugare l'energia di chi dovrebbe solo insegnare. E mi pulisco pure la cattedra e la lavagna.
Il conto in banca è amaro in bocca: Paga troppo spesso non in linea con il valore reale del loro lavoro. E non è mica un segreto che un professionista, quanto più è pagato, tanto più si sente valorizzato.
Il cassetto delle risorse (quello vuoto): Aule che sembrano uscite da un film degli anni ’80, e non in senso vintage. A volte hanno così poco che farebbe miracoli anche una mano di vernice.
Il bersaglio delle critiche: Da ogni parte, genitori, giornali, la signora al mercato, tutti pronti a puntare il dito se lo studente incorre in un voto basso. “È caduto in depressione, non l’hanno mica aiutato”. Nessun senso di colpa, tranquilli.
Aspettative altissime: l'insegnante, l'educatore, il sostituto genitore, il consigliere, il distributore di fazzoletti, il tutor, l’orientatore, il pedagogista, l’infermiere, il motivatore, la sentinella della civiltà … ma alla fine i superpoteri non dovrebbero essere retribuiti?
La creatività in catene: Vorrebbero spiccare il volo con nuove idee ma a volte si scontrano con i muri alti dei curricoli standardizzati e delle politiche scolastiche che limitano più di un po’. Appena hai un’idea, si profila un alta pila di carte da compilare… e ostacoli da affrontare
Caccia al punteggio: L'ossessione per i numeri, per i risultati agli esami che sembrano valere più di quello che si impara veramente. Sempre “Come va XV?” E non “Come sta?”.
L’isola deserta: Quel sentirsi soli in mezzo al mare, senza una bussola che ti indichi la direzione dello sviluppo professionale. Ed essere preda di mille sirene che non hanno idea di che deriva si prepari
Domatori di leoni senza frusta: Mantenere la disciplina in aula può diventare un'impresa, e senza il sostegno necessario può trasformarsi in un vero e proprio campo aperto.
La bilancia della vita sbilanciata: Portarsi il lavoro a casa, correggere compiti a cena, preparare lezioni alla domenica... la vita privata? Credo ci sia un modulo in segreteria, forse.

Queste cose sono tutte vere. Anche io me ne lamento, in momenti di particolare sconforto. Però a volte questi discorsi stufano.
Questa settimana sono accadute tre cose che mi hanno ampiamente fatto riflettere:
Ho organizzato un’uscita didattica, a cui peraltro non dovevo partecipare e che non era una mia idea, presso una importante azienda italiana. È stato difficilissimo contattare e accordarsi, tanto più che in ultimo hanno pure richiesto documenti che la scuola non aveva e che ho dovuto recuperare io. Non era il mio lavoro, neanche come coordinatrice penso che mi spetti una simile rottura di cocomero e, per giunta, non ne avevo proprio voglia. Gente! nessuno dei miei colleghi si è interessato nel sollevarmi da questo lavoro lungo, noioso e che non mi competeva proprio. Il che (insieme a milioni di altri esempi) mi fa venire il dubbio che gli insegnanti manchino, per lo meno, di un pochino di iniziativa e spirito di collaborazione. Fino a che sono gli altri che mi dicono cosa fare… io seguo. Bravo, bene, avanti così.
Entro in segreteria e mi dicono che, nonostante avessi cercato (io) di sollevare l’amministrativo di un lavoro infame che è piovuto tra capo e collo e che aveva a che fare con il ruolo dei tutor, i colleghi hanno chiesto lumi alla mia mail in segreteria. Assumo una postura sconsolata di fronte al fallimento del mio tentativo, una persona fa una battuta sul fatto che “questi sono i miei colleghi”, ed in quella una mia collega varca la soglia e si inalbera perché la segreteria non può fare queste battute maligne sui colleghi, perché gli insegnanti hanno tante cose da fare e a volte si possono perdere dei pezzi. Cerco di tranquillizzarla, perché la sfuriata era sproporzionata all’entità della questione e non aveva per l’appunto il pezzo precedente. E mi racconta che insomma i colleghi non voglio costruire l’UdA interdisciplinare di Ed. Civica insieme a lei, che alla fine se la farà da sola, come possiamo immaginare. Ma “gli insegnanti hanno tante cose da fare e possono perdersi dei pezzi” qui non vale? Mio appunto personale: criticare le persone sul lavoro che devono svolgere con un filo più di severità e forse, trasparenza e coerenza, non è una cattiva azione.
Proposta di valutare la settimana corta (5 giorni con diverse opzioni, una ad esempio prevede di uscire alle 14.10 tutti giorni e fare un rientro il venerdì). Risponde una collega mettendo nero su bianco quello che è circolato nei corridoi a gran voce: è una questione di didattica, sono sempre stanchi alle ultime ore, non si può fare lezione, fare scuola su cinque giorni significa abbassare ulteriormente la qualità della didattica, i genitori vogliono parcheggiare i figli a scuola (per un pomeriggio)… La dibattuta questione dell’orario non interessa in realtà la didattica, ma l’organizzazione scolastica. Avere un orario su 5 giorni con un rientro pomeridiano consente una migliore gestione del tempo scuola? Mantenere i 6 giorni consente una migliore pianificazione degli impegni collegiali? C’è una giusta equità e distribuzione del carico di lavoro? Queste dovrebbero essere le domande guida. (Nota a parte merita lo scivolone di cattivo gusto “sulle famiglie che vogliono parcheggiare i figli a scuola”, come se tutti avessero nonni a disposizione e non esistessero le famiglie monogenitoriali. Il che denota quella insopportabile abitudine di dare giudizi sugli altri). La didattica, se questo dovesse essere il tema, andrebbe comunque ripensata dal momento che si sottolinea come già ora “alle ultime ore i ragazzi non seguono”.
L’impressione che si ricava è di un panorama immobile, che non rinnova e non ha interesse a rinnovare se stesso e che mette insieme mele con pere, didattica e organizzazione, meschinità ed egoismi.
Le condizioni esterne sono l’ostacolo ma anche la giustificazione entro cui io come insegnante non posso fare meglio di così.
Cioè alla fine, mi sembra di poter dire, in questa scuola scalcinata, ci sono tanti, troppi, che trovano una zona di comfort. Alcuni lo abbelliscono e dicono che non ne uscirebbero mai.
Credo invece che occorra, con un po’ di umiltà, ammettere i limiti che incontriamo, preservare quel buono che, per fortuna, accade sempre, lavorare per costruire qualcosa che possa durare. @nora_orsi recentemente suggeriva di rinnovare dall’interno. Mi sembra una possibilità, sopratutto quando non abbiamo le idee del tutto chiare su quali scenari ci attenderanno.
Possiamo, ad esempio, trasformare le sfide quotidiane in vere e proprie opportunità di crescita, mettendo in luce quanto possa essere valorizzata e rispettata la figura dell'insegnante. Mi sono permessa di fare un piccolo elenco di possibili “ripensamenti”:
Rivalutazione del sovraccarico di lavoro: È fondamentale promuovere una gestione del tempo più efficiente e introdurre tecnologie moderne che possano ridurre il carico amministrativo, lasciando così agli insegnanti più spazio per esprimere la loro creatività didattica.
Riconoscimento del valore dell'insegnamento: Dovremmo spingere per politiche che assicurino una remunerazione giusta.
Investimento in risorse: È essenziale non solo sollecitare un investimento maggiore nelle scuole, come sta accadendo con il PNRR ma che questi investimenti siano davvero necessari per arricchire l'esperienza educativa.
Supporto dalla comunità: Possiamo provare a lavorare su una rete di supporto che coinvolga genitori, amministrazioni e la società civile per valorizzare e sostenere insegnanti e gli studenti.
Aspettative realistiche: Potrebbe essere utile disseminare cultura sull'importanza di un approccio educativo globale che va ben oltre i risultati dei test.
Autonomia professionale: Incentivare l'autonomia degli insegnanti significa non muovere critiche per ogni cosa ma interessarsi alle motivazioni che sono sottese alle scelte ed eventualmente proporre delle correzioni migliorative.
Focus sul processo di apprendimento: Privilegiare il progresso personale e lo sviluppo degli studenti rispetto ai semplici risultati dei test non è così scontato. E peraltro neanche così facile.
Networking professionale: Alcuni tentativi di creazione di reti tra insegnanti per condividere risorse, idee e supporto ci sono già e rafforzano la comunità educativa.
Gestione della disciplina: sperimentare metodi innovativi e inclusivi per la gestione della classe non è in capo agli psicologi o ai pedagogisti: sono figure che possono collaborare con la scuola ma la responsabilità resta in capo ai docenti della classe (compresi quelli di sostegno). Ci dovremmo riappropriare di questa responsabilità non come una spada di Damocle.
Equilibrio vita-lavoro: Politiche che promuovano un equilibrio sano tra vita professionale e personale? Magari!
Ma io credo che la soluzione più profonda non si trovi solamente nelle condizioni esterne alla nostra persona, anzi. Ciò che conta è proprio l'arte di reinventare la narrazione di se stessi e del proprio ruolo educativo.
Come suggerisce Naval Ravikant, “Nessuno al mondo sarà migliore di voi nell’essere voi stessi”.
La chiave è riconoscere che le nostre abilità uniche ci mettono in una posizione ideale per contribuire al mondo in un modo che solo noi possiamo fare.
Questo approccio ci permette di superare i limiti angusti della scuola e abbracciare un panorama più ampio.
Questa newsletter è davvero lunghissima per cui riprendiamo lunedì prossimo.
Come cambieresti il racconto di te insegnante?
Buon caffè
Simona ☕️
Ciao Simo. Oggi ti ho letta con più lentezza del solito, perché mi ritrovavo in ognuno dei punti che andavi indicando. In quest'ultima settimana mi sono chiesta più volte che giudizio sto dando IO, in questo periodo, alla scuola. Perché è vero che, per molti, essa è ancora 'il posto migliore in cui stare', ma non voglio accettare che tante storture (che vedo o di cui sento parlare) diventino prassi per il futuro. E quale futuro, poi? Niente... mi hai fatto pensare molto anche questa mattina... Grazie.