Le migliori strategie didattiche mai viste
Questa è la decima newsletter del 2024. Qual è la metodologia più efficace? Qua ti dico la mia: vuoi restare di sasso?
E allora come faccio in pratica a lavorare? Quale sarà la strategia didattica migliore? Quale corso posso seguire per imparare la metodologia migliore? Qua dico una cosa che farà inorridire molti. Smetti di leggere se non sei disposta o disposto a lasciar scuotere le tue certezze.
Non esiste una strategia migliore di un’altra. Esiste il mettersi al lavoro. Non è il modo, non è se usi il WRW oppure il cooperative learning, non è schierarsi contro o a favore del metodo Rossi o del Bortolato. Questa è tifoseria da stadio.
Il punto è giocare la partita. In pratica, smettere di pensare alla teoria e rimboccarsi le maniche.
Ogni insegnante ha una sua modalità di interagire con la classe, ci rivolgiamo ad una strategia didattica perché le regole ci aiutano a mantenere il lavoro focalizzato.
Ad esempio, ho osservato che esiste una scansione abbastanza diffusa nelle più disparate metodologie: l’organizzazione del tempo.
1. Se ci fai caso si propone un momento introduttivo, per attivare le preconoscenze, per fare un brainstorming, per predisporre all’ascolto.
2. Successivamente c’è un contenuto: una lezione, una attività, il cuore della comunicazione.
3. In ultimo, una parte conclusiva, un feedback, una verifica, uno scambio finale.
Questa tripartizione è costante: nella strutturazione di un saggio, nella scansione di un’opera teatrale, nella composizione di un profumo… come se la nostra percezione funzionasse necessariamente in questo modo: una prima parte di approccio per suscitare l’attenzione e predisporre all’ascolto, un momento di contenuto concentrato e impegnativo e infine una conclusione.
L’apprendimento funziona così. Abbiamo bisogno di suscitare l’attenzione, di concentrarsi per un tempo adeguato e poi di provare la soddisfazione di avere imparato qualcosa.
Un primo accorgimento per lavorare in modo proficuo è tenere conto di come il nostro cervello (e quello dei nostri studenti) ottimizza l’apprendimento. Questo comporta che il momento centrale, il “vero” contenuto dell’apprendimento, occupa un tempo relativamente breve all’interno di un’ora di lezione. Là troviamo la fatica del concentrarsi, del capire come funziona, del lavoro serio.
A volte anche io scanso questa fatica perché non ci preoccupiamo dell’apprendimento: né mio, né dei ragazzi.
Quello che ho osservato nei ragazzi è che non sono ingaggiati in una comunicazione che abbia per oggetto imparare qualcosa. Troppo spesso le strategie didattiche si concentrano sull’involucro e quindi sul canale della comunicazione e non sul contenuto.
E quindi l’apprendimento, la fatica dell’apprendere, non si verifica. Il giorno dopo non si ricordano più niente. Un po’ è fisiologico. E un po’ dice la credenza che la fatica impedisca l’apprendimento. Invece è vero l’esatto contrario: senza una fatica non c’è apprendimento.
Un esempio di questo è l’uso delle mappe come strumento (anche compensativo) per il lavoro in classe.
“… (in classe) le mappe hanno un ruolo di tipo strumentale - sono un mezzo, mai un fine - e ha senso proporle e usarle solo se servono veramente a migliorare l’apprendimento ed è sempre in base a considerazioni di questo tipo che vanno valutate. Sono davvero utili? Sono convenienti? Posso ottenere in altro modo, meno oneroso, analoghi risultati? (…) il prodotto (la mappa già pronta) prevale troppo spesso sul processo cognitivo che porta alla sua creazione (corsivo mio), l’indispensabile gestione attiva e consapevole delle proprie conoscenze è considerata opzionale, la mappa si sostituisce al testo di studio e assume un improprio ruolo dispensativo con eccessiva e ingiustificata riduzione dei contenuti, l’acquisizione di informazioni destrutturate assume le caratteristiche dell’apprendimento meccanico, quello che non riusciamo a collegare con quello che sappiamo e che sapevamo e, dice Novak, è inevitabilmente destinato all’oblio (Novak, 2010). Basta del resto considerare la rapidità con cui tante volte le mappe perdono di significato e diventano assolutamente incomprensibili dopo poco tempo, a volte anche per chi le ha fatte”.
Dall’Introduzione di Imparare e insegnare con le mappe, F. Fogarolo e M. Guastavigna, 2014 Erickson
Cioè non è la mappa che “salva” il mondo dell’apprendimento, ma la fatica di costruirla.
Che cosa fai nel momento centrale della lezione?
Buon caffè ☕️