L'esperienza ottimale
Questa è la settima newsletter del 2024. Parliamo di un bimbo costretto ad ascoltare i concerti e di film sulla scuola. Ma sopratutto di come rendere ottimale il lavoro in classe.
In un libro che citerò spesso, Mihály Csíkszentmihályi, uno psicologo ungherese che si è interrogato tutta la vita su come si realizza la felicità, scrive:
Un mio amico, e collega d'ufficio di moli anni fa, aveva un grande dono. Tutte le volte che il lavoro diventava particolarmente noioso, sollevava il viso con un'espressione vuota negli occhi semichiusi e si metteva a cantare un pezzo musicale: un corale di Bach, un concerto di Mozart, una sinfonia di Beethoven. Ma cantare è una definizione inadeguata di quello che faceva. Rifaceva tutto il pezzo, imitando con la voce gli strumenti principali che si sentivano nei passaggi particolari: ora si lamentava come un violino, ora rimbombava come un fagotto, ora squillava come una tromba barocca. In ufficio lo ascoltavamo incantati e ci rimettevamo al lavoro ristorati. La cosa strana è come mai il mio amico avesse sviluppato questo dono. Fin da quando aveva tre anni il padre l'aveva portato ai concerti di musica classica. Si ricorda che si annoiava infinitamente, ogni tanto si addormentava nella poltrona e il padre lo svegliava con una bella sberla. Si mise a odiare i concerti, la musica classica e presumibilmente anche il padre, ma era costretto a subire questa esperienza spiacevole un anno dopo l'altro. Poi una sera, quando aveva circa sette anni, durante l'ouverture di un'opera di Mozart ebbe quella che descrive come un'illuminazione interiore: si accorse improvvisamente della struttura melodica del pezzo e fu sopraffatto dalla sensazione del mondo nuovo che gli si spalancava davanti. I tre anni di ascolto faticoso lo avevano preparato per questa epifania: quegli anni nei quali si erano sviluppate le sue capacità musicali, sia pure a livello inconscio, gli avevano permesso la comprensione delle sfide di cui Mozart aveva intessuto la musica.
Bisogna dire che è stato fortunato; molti bambini non arrivano mai ad accorgersi delle possibilità di un'attività cui vengono costretti e continuano a evitarle per sempre. (Flow. Psicologia dell’esperienza ottimale, ROI Edizioni, pag 118)
Nelle precedenti newsletter siamo arrivati alla domanda cruciale: come lavorare in classe? Nell’ultima abbiamo esaminato (per quanto possibile) le premesse teoriche dell’approccio più diffuso, o che perlomeno si riconosce alla base degli interventi educativi attuali (cioè la modifica del comportamento studiata da Skinner).
Tanto per citare qualcosa di recente (chi segue il profilo Instagram lo saprà), ho seguito la lezione di Daniele Fedeli, professore di Pedagogia presso l’Università degli Studi di Udine ed autore di numerose pubblicazioni per i tipi della Erickson, nonché esperto di disturbi cognitivi e del comportamento in età evolutiva e di disabilità intellettive adulte.
È stato messo a tema come gestire gli studenti con disturbi del comportamento: la soluzione proposta è stata eliminare le condizioni scatenanti la reazione esplosiva. Una risposta molto da psicologo, secondo me.
Ma non tutti possiamo avere una preparazione in tal senso, e anche sforzandoci di capire e approfondire, potremmo fare più danni che altro. Sono una feroce e convinta sostenitrice che ognuno abbia una sua specifica professionalità e un ambito in cui la agisce: la scuola non può essere il campo di esercizio di psicologi dilettanti che nel frattempo insegnano.
E in varie occasioni, anche quando parlano professionisti che io stimo e, giuro, ascolto con appassionato interesse (ad esempio Matteo Lancini oppure Daniele Novara o altri), mi resta l’impressione di non essere capita davvero, che il disagio che io rilevo nello stare a scuola ora, non sia afferrato, colto nella sua profondità. Che non ci siamo, insomma.
Da una parte penso che gli psicologi utilizzino un cannocchiale che è la propria professionalità: risolvere o almeno smussare una difficoltà comportamentale, relazionale, psicologica. Sono cioè allarmati da tutti i segnali che possono indicare uno squilibrio di crescita, come se ci aspettassimo di vivere tutti in modo armonioso. O che si possa evitare di stare male crescendo.
Noi, da insegnanti, sappiamo bene che questi disaccordi dell’anima influiscono sulle attività scolastiche e sul rendimento. Perciò apprezziamo volentieri il supporto degli specialisti. Noi stessi, ci mettiamo in discussione perché sappiamo come e quanto le nostre idiosincrasie, i nostri limiti e le nostre stesse esperienze riposte e nascoste alla coscienza, influenzino il modo che abbiamo di stare con i nostri alunni. (Questo ovviamente per coloro che due domande due se le pongono).
E anche io quando ho iniziato ad insegnare la vedevo così. Poi ho iniziato ad insegnare, anno dopo anno. E non ho smesso di interrogarmi. Il mio modo di pensare e di vedere le cose si è evoluto nel tempo.
Sono sempre convinta che un insegnante, amica e amico mio, come qualunque adulto consapevole, seriamente impegnato con la sua umanità, non può esimersi dal lavoro su se stesso, compreso lo smussare gli aspetti spigolosi del suo carattere (a me dicono sempre che sono spigolosa, anche se sono cicciottina). Su questo non ci piove: è una responsabilità verso se stessi e verso le creature (figli, alunni o colleghi) che incontriamo quotidianamente.
Ma il punto, tuttavia, non è come gestire la classe, gli studenti o i disturbi personali o collettivi.
È altrove. Occorre puntare lo sguardo altrove, proprio da tutt’altra parte.
Cioè come lavoro in classe?
Certo che è l’esperienza di apprendimento, il nodo centrale. Ma
Alt! Non è una questione di metodologie didattiche o strategie. Tutto ciò è assolutamente indifferente.
Il punto è l’illuminazione interiore che porta alla comprensione della musica di Mozart e quella sensazione di sopraffazione per il mondo nuovo che si spalanca davanti. È precisamente l’esperienza della conoscenza. Mihály Csíkszentmihályi la chiama “esperienza ottimale”, flow, flusso.
Ciò che rende un’esperienza appagante è perché avviene una concentrazione profonda, il tempo scorre diversamente, ci si dimentica temporaneamente dei problemi che affliggono l’esistenza, di se stessi e allo stesso tempo si realizza una crescita. Provoca un benessere interiore.
“Gli eventi che danno benessere interiore - spiega Mihály Csíkszentmihályi - si verificano quando una persona non ha solo appagato qualche aspettativa precedente o un bisogno o un desiderio, ma ha anche superato quello che aveva programmato di fare e ha realizzato qualcosa di imprevisto, forse addirittura mai immaginato prima. (…) La complessità esige che si investa energia psichica in scopi che sono nuovi e relativamente stimolanti. Si osserva facilmente questo processo nei bambini: durante i primi anni di vita ogni bambino è una piccola macchina per imparare che prova ogni giorno azioni e parole nuove. La concentrazione totale sul viso di un bimbo mentre acquista nuove capacità è una buona indicazione di cosa è il benessere interiore. E ogni situazione di apprendimento che dà benessere interiore aumenta la complessità del sé infantile che si sta sviluppando.
Sfortunatamente, con il tempo questa associazione spontanea tra sviluppo e benessere interiore tende a scomparire. Forse perché l’apprendimento diventa un’imposizione esterna con l’inizio della scuola, l’emozione di impadronirsi di nuove capacità scompare gradualmente. Diventa fin troppo facile accomodarsi dentro i confini angusti del sé sviluppato in adolescenza.” (Ibidem, pag. 86-87)
Nella concretezza della vita di scuola, si tratta perciò di realizzare un benessere interiore nell’apprendimento che interessa gli studenti, ma anche, come condizione preesistente quasi, un benessere interiore dell’insegnante assorbito dal flow dell’insegnare.
Una delle caratteristiche del flow descritto dallo psicologo ungherese infatti è che non necessariamente questa è un’esperienza individuale. Anzi una delle condizioni del benessere interiore è lo stare con gli altri.
Nei film viene rappresentato questo momento che vorrei descrivervi:
1. Quando Filottete addestra Hercules
2. Quando Erin Gruwell coinvolge la classe in un compito difficile come leggere Il diario di Anna Frank (questo è uno dei miei film preferiti in assoluto)
3. Quando Clément Mathieu, nel film Les Choristes, trasforma i ragazzi del riformatorio in un coro
“Una delle dimensioni dell'esperienza del flow che viene nominata più spesso è che mentre è in corso si riescono a dimenticare gli aspetti spiacevoli dell'esistenza. Questa caratteristica del flow è un effetto collaterale importante del fatto che le attività che generano benessere interiore richiedono una concentrazione totale dell'attenzione sul compito in via di svolgimento, quindi nella mente non rimane spazio per le informazioni non pertinenti” (ibidem pag 103).
Puoi immaginare le conseguenze di un simile evento?
Daniele Fedeli, di cui ho già parlato, ha detto tante cose di buon senso. Ad esempio, sottolineava l’importanza che l’insegnante in classe controllasse e desse attenzione a tutti i comportamenti agiti dagli studenti, perché è molto importante esercitare questo “controllo” e allo stesso tempo fornire la certezza di “essere visti” (nel senso psicologico di essere considerati).
Peccato che in realtà le scoperte scientifiche attuali sostengano che la capacità di attenzione che siamo in grado di dedicare è molto limitata:
“La limitatezza della coscienza è dimostrata dal fatto che per capire quello che dice un'altra persona dobbiamo elaborare 40 unità di informazione per secondo. Se prendiamo il limite massimo di 126 unità, ne deriva che capire quello che stanno dicendo tre persone allo stesso tempo è teoricamente possibile ma solo se si riesce escludere dalla coscienza ogni loro pensiero o sensazione”. (sempre Mihály Csíkszentmihályi)
Quindi se io ascolto il discorso di una persona non posso accorgermi delle espressioni facciali che fa o domandare perché dicono quello che stanno dicendo. Figuriamoci osservare un’intera classe.
Tuttavia, oltre osservare l’incredibile stima (senza riconoscimento oneroso) che la legge e gli psicologi hanno degli docenti, c’è un’ispirazione da seguire: il lavoro in classe è la strada per arrivare all’esperienza ottimale all’interno della nostra aula.
Ti è mai capitato? Raccontamelo, questo potrà arricchire l’esperienza di tutti.
Nelle prossime newsletter approfondiremo le caratteristiche del lavoro didattico come esperienza ottimale.
Buon caffè ☕️.
Simona
PS: Se vuoi saperne di più su Mihály Csíkszentmihályi, ascolta i suoi TedTalks
Che post stratosferico, Simo!!! "Flow" penso dovrebbe essere uno dei 'livres de chevet' di ogni docente... ma cosa dico? di ognuno. Penso sia imperdibile, per tutti noi che quelle "due domande due" ce le poniamo spesso e volentieri, riflettere sull'esperienza ottimale del lavoro in classe QUANDO sta accadendo. E riuscire a collegare l'evento con l'emozione che ci ha condotto a progettare, con l'imprevisto accaduto all'inizio dell'ora, un riconoscimento che abbiamo voluto dare...
Trovo che rimanga la parte migliore e più interessante (oltreché efficace) del nostro lavoro.
Buona settimana!