🎨 #11 Creatività
Questa è l’undicesima newsletter del 2025 e voglio raccontare di che cosa ho imparato tra Didacta e Sfide. La scuola di tutti e come c’entri la creatività con il mestiere di insegnante
Dopo diversi anni nella scuola e innumerevoli corsi di ogni genere, uniti a studi personali, sono giunta a una conclusione: avevo bisogno di seguire corsi e formazioni che non c’entrassero niente con quello che facevo.
Seguire corsi a caso
Quando ebbi quell’illuminazione non avevo ben chiaro il perché: era una sorta di saturazione mentale, non ne potevo più di sentire sempre le stesse cose, di ragionare (inutilmente) sugli stessi problemi, senza peraltro trovare delle soluzioni che davvero mi convincessero.
Così ho iniziato a seguire corsi a caso, su cose che mi piacevano: scrittura creativa, usare Wordpress, crescita personale, strategie di marketing on line, copywriting (uno bellissimo CopyMastery3 di Andrea Bottoni e Dario Vignali), un Master in consulenza filosofica, intelligenza artificiale (qui mi sono addirittura iscritta ad una Academy)... Di tutto e di più, ma con un criterio inamovibile in comune: non dovevano centrare un tubo con la scuola.
Ad esempio, in questi giorni seguirò il corso di Altisensi (le conoscete? Hanno dei percorsi meravigliosi!). Nella loro home page ho trovato una spiegazione possibile per questa mia esigenza:
Una mente creativa è flessibile e aperta a nuove conoscenze, scorge connessioni, si adatta agli imprevisti, scopre vie inesplorate per risolvere problemi, si diverte, accoglie le differenze, concepisce i fallimenti come opportunità di apprendimento, abbraccia il possibile e l'indefinito, anticipa e prevede, sviluppa idee uniche e utili. (homepage Altisensi)
Mercoledì 12 marzo ho fatto una toccata e fuga a Didacta.
Alla ricerca di nuovi stimoli
Davanti a me, in treno, si è seduta una signora che, a un certo punto, ha iniziato a prendere appunti su Gabriele D’Annunzio. Mio figlio sostiene che io non mi faccio mai gli affari miei, ma non c’era per farlo sentire in imbarazzo, quindi ho attaccato bottone: “Insegna?”. Con la signora ho affrontato una piacevole chiacchierata: insegnante all’infanzia, continuava a studiare e quel giorno andava a laurearsi in Scienze della Comunicazione.
Non potevo che essere d’accordo con lei quando sosteneva che smettere di imparare le avrebbe impedito di insegnare.
Arrivata a Didacta1, la parte più interessante è stata poter assistere al workshop sull’utilizzo dei giochi in scatola nella didattica, organizzato da Discentis nello stand di La Lucerna Educational, con una Viviana Pinto che illustrava molteplici utilizzi di Dobble e qualunque possibile applicazione di Cookie, affrontando tutti i problemi pratici: dalle regole alla gestione dei turni, passando per mille discipline e argomenti. Un’esplosione di entusiasmo creativo, decisamente contagioso, come il team – di ragazzi giovani, motivati e curiosi – che ha creato l’evento. Sono andata via (molto grata) con la testa in cui frullavano più idee di una teca di farfalle2.
Siamo bombardati di richieste per essere più creativi, perché la creatività è la competenza che ci porterà nel futuro. A volte, questa corsa incessante ai fuochi artificiali (l’effetto WOW) a tutti i costi mi fa desiderare la sicurezza del mio angolino sicuro.
Il potere della contaminazione
In passato solo alcuni geni potevano aspirare a raggiungere le vette creative. Poi, per fortuna o forse no?, si è capito che tutti hanno il potenziale per esprimersi in modo originale e innovativo3. La psicologia cognitiva considera la creatività il risultato di operazioni cognitive complesse come la combinazione di conoscenze diverse, l'utilizzo della memoria a lungo termine e la capacità di immaginazione. Finke (il modello “geneplore”) spiega come nasca dalla capacità di connettere idee distanti tra loro attraverso il linguaggio logico-metaforico. Quest’ultima è una spiegazione che mi è sempre piaciuta molto4.
Austin Kleon sostiene che è molto importante rubare le idee, cioè lasciarsi contaminare. La contaminazione è ciò che permette di sviluppare la creatività. E uno dei modi in cui si attiva è la contaminazione, cioè la condivisione di pensieri diversi.
Il problema è che la contaminazione mi mette in uno stato di disagio, nello stesso momento in cui mi fa venire delle idee.
Che cosa mette a disagio
Sono andata via da Firenze con la testa in fermento, ma anche inquieta. Alla fine, bisogna ammettere che chi poco fa, nulla rischia. Si ottimizza, ci si porta avanti, grazie ad automatismi e abitudini consolidate. Come un diktat invisibile della sala prof: “si è sempre fatto così”. L’epigrafe che seppellisce l’insegnamento.
Ma in molti casi è meglio fare poco, perché ogni volta che ti metti a fare qualcosa è come se scoperchiassi il vaso di Pandora. A scuola, almeno, è così.
Nel frattempo avevo dato la mia disponibilità a un'altra persona troppo piena di idee, come Simona Butò, per presentare un workshop sul pensiero narrativo (invitate da Sabina Eleonori, una di quelle persone dolcissime ma che non si ferma mai) a Sfide. La scuola di tutti, lo scorso weekend. Con SimoB (proprio quella che scrive le Lettere ad un giovane docente) avevamo pensato di condividere, in sintesi, l'idea che la narrazione serve in tutte le discipline, perché viviamo per narrare. La capacità di raccontare la nostra disciplina si lega alla realtà degli studenti che ascoltano e sentono il fascino delle nostre storie. Ogni disciplina ha il suo linguaggio per spiegare la vita, dal suo punto di vista.
Ci siamo così organizzate per goderci la giornata. Molte delle suggestioni che abbiamo ricevuto sono già nella newsletter di Simona, quindi non le ripeterò: vi invito a leggerla. Sicuramente Maria Polita, Pija Lindenbaum e Daniele Novara ci hanno regalato tantissimi stimoli. Nel frattempo, sono stata raggiunta dalla mia amica Mascia (lei è una creativa vera) e da alcune colleghe/amiche.
Perché mi emoziono
Poi è venuto il momento del nostro workshop. La cosa che mi ha colpito di più è stata la ricchezza della condivisione da parte dei colleghi, spontanea e non calcolata. Le persone presenti hanno voluto condividere la loro esperienza e il loro pensiero con me, con SimoB, con tutti, sollecitandomi inconsapevolmente a riflettere su cosa significhi essere veramente creativi. Perché mi hanno offerto una valanga di spunti, di illuminazioni, di suggestioni.
Nel workshop (che sto seguendo in questi giorni) di Altisensi certe domande hanno generato ancora altre domande… Anche in questo workshop, i momenti più intensi – sebbene in alcuni casi più faticosi – sono stati quelli in cui ho lavorato con altri.
Mi sono interrogata sul motivo per cui questo aspetto della condivisione e della contaminazione mi stimoli, mi colpisca e mi spinga a cercare idee nuove, e allo stesso tempo sul perché senta in me una resistenza. Una possibile spiegazione l'ho trovata scoprendo che, nella parte creativa, si attivano diverse aree del cervello.
Non soltanto la parte razionale – cioè i concetti che noi abbiamo e possediamo – ma anche la parte emotiva gioca un ruolo. È come se, per poter essere creativi, queste due parti dovessero dialogare5. L’aspetto emotivo, a volte anche inconscio, e le emozioni che viviamo sono profondamente coinvolte nell'essere creativi. Non è un caso nel processo di ideazione (di una lezione ad esempio) che ricorriamo, ad esempio, a momenti dell’infanzia, a ricordi o a esperienze con figli/studenti.
E la relazione attiva sempre una parte emotiva. Quindi, questo aspetto mi porta a considerare che la condivisione sia una fase imprescindibile per essere creativi.
La mia inquietudine nasce (forse) dal fatto che, nella scuola, è decisamente più semplice seguire i programmi, farsi i fatti propri – che si campa cent’anni – e seguire dei binari… Come quelli che ho intravisto nell’esercizio di ieri. Le formatrici dicevano che il disegno era nella nostra testa, ma a me non sembrava di averne uno. Quindi ho fatto tanti piccoli disegni…
Stamattina, però, ho capito: era una finestra quella che vedevo tra quelle linee, una finestra aperta, spalancata per far entrare aria fresca.
Mi domando se la mancanza di creatività nella scuola non sia legata all’eccessivo individualismo su cui abbiamo puntato troppo.
Serve far entrare aria fresca, aprirsi alla contaminazione degli altri, condividere se stessi nelle relazioni…
Quindi che cosa mi fa sentire a disagio nella contaminazione?
Buon caffè (del lunedì che sarà mercoledì) ☕
Simona
Sono riuscita ad infilarmi al convegno Comunicare le STEAM oggi: strumenti per appassionare gli studenti alle materie scientifiche, la presentazione di un progetto di Fondazione Leonardo in collaborazione con Edulia Treccani e poi di pomeriggio il seminario La scuola nell’era dell’Intelligenza artificiale: un approccio sistemico, con Elisabetta Mughini, Dirigente di Ricerca INDIRE, Aluisi Tosolini, filosofo dell’Educazione e la prof.ssa Susanna Sancassani, direttrice METID Politecnico di Milano: una bella riflessione sulle implicazioni etiche dell’IA a scuola.
Mi chiedevo per esempio se non fosse possibile sfruttare la flessibilità di Dobble o la sequenzialità di Cookie per allenare a riconoscere le concordanze tra le parole… devo fare delle prove. E ho pensato che per costruire frasi potrei provare a far realizzare un tangram a ciascuno studente con cui far giocare i compagni. Qualcosa di simile avevo fatto con una classe seconda media sull’analisi logica: sfruttando le potenzialità del cooperative learning, avevo assegnato a ogni gruppo un gioco da realizzare su quello che avevamo studiato: qua il video.
La creatività viene caratterizzata da diversi aspetti distintivi identificati inizialmente da Guilford. Questi includono la fluidità (la capacità di produrre numerose idee), la flessibilità (l'abilità di cambiare strategie ideative), l'originalità (la capacità di trovare risposte uniche e insolite), l'elaborazione (lo sviluppo dettagliato di un'idea) e la sensibilità ai problemi (la capacità di identificare ciò che necessita miglioramento. La psicologia dinamica sostiene che la creatività emerga da un conflitto interno tra il desiderio di esprimere se stessi e le pressioni sociali che spingono alla conformità. Secondo questa visione, la tensione generata da questo conflitto può essere risolta attraverso l'atto creativo, che diventa così una forma di sublimazione degli impulsi inconsci in espressioni socialmente accettabili, come spiegava Freud.
Anche perché come sospettavo è il mio personale modo di essere creativa, come ha confermato ulteriormente il workshop di ieri: sono una problem solver compulsiva, non mi faccio mai i fatti miei, più le idee sono lontane tra loro più mi emoziono.
Gli studi neuroscientifici rivelano che la creatività non dipende da una singola area cerebrale, ma dall'interazione dinamica tra diverse regioni. La flessibilità delle connessioni neurali è cruciale per superare i limiti del pensiero convenzionale. Inoltre, la creatività non è un atto isolato, ma un processo multidimensionale che integra logica, emozioni, intuizione e processi inconsci. Tale complessità sottolinea come l’esperienza creativa emerga dall’equilibrio tra componenti cognitive e affettive, rendendola un fenomeno sia cerebrale che profondamente umano.