🎨 #12 Empatia
Questa è la dodicesima newsletter del 2025. Il motivo per cui non è bello conoscermi è che il sabato sera, anche se abbiamo una birra in mano, faccio domande come queste...
Sabato sera, riflessioni …
Sabato sera, dopo avere studiato ininterrottamente dalla mattina e pulito casa nel pomeriggio, sono passata a prendere almeno una sour (una birra acida) al birrificio (Menaresta, NdA) per alleggerire la nottata di studio che si prospettava.
Epicentro di una guerra zombie
Lì incontro Martina, e sapendo che con lei posso permettermi domande aperte, le chiedo: «Ma perché i ragazzi sono così poco empatici?».
Ted Gioia, critico musicale e compositore americano con una seguitissima newsletter su Substack, in un suo recente post si domanda: «Che cosa succede agli studenti?» e condivide un video di una frustratissima insegnante che sui social afferma:
Dice: «Voi ragazzi non avete idea di cosa stia succedendo nel mondo dell'istruzione in questo momento. È normale—come potreste saperlo se non ci lavorate? Ma credo che dobbiate saperlo...
Innanzitutto, i ragazzi non hanno assolutamente la capacità di annoiarsi. Vivono attaccati ai telefoni, nutriti da un flusso costante di dopamina dal momento in cui aprono gli occhi al mattino fino a quando vanno a dormire la sera.
Poiché a scuola sono in uno stato continuo di astinenza da dopamina, si comportano come tossicodipendenti: sono ipersensibili, le cose più insignificanti li fanno esplodere.
Quando sei lì davanti a loro a cercare di insegnare, sono assenti, non hanno la capacità di concentrarsi, non sono presenti.
Mostrano un livello di apatia che non ho mai visto in tutta la mia carriera. Le punizioni non funzionano perché non gliene importa nulla. Non gli interessano i voti, non gli interessa l’università.
Gli importa solo della prossima dose—perché è così che agiscono i dipendenti. Non hanno progetti a lungo termine, solo bisogni immediati.
Non vedono l’ora di riafferrare quel telefono.»
Questa stessa cosa la ripeto ad ogni Consiglio di classe da settembre. Certo, in America la situazione sarà anche più grave rispetto all’Italia, ma non credo che il divario sia troppo ampio. Ted Gioia definisce tutto questo «l’epicentro di una guerra zombie».
Impossibile comunicare
Sempre su questo filo di pensiero, mi è capitato di leggere molte recensioni su Adolescence, la serie Netflix, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, diretta da Philip Barantini (girata interamente in piano sequenza per ogni episodio). La storia ruota attorno all’omicidio di Katie Leonard, una ragazzina di 13 anni uccisa a coltellate. L’accusato è Jamie Miller, suo compagno di classe, che proclama la sua innocenza nonostante le prove schiaccianti. Attraverso indagini della polizia, interrogatori e flashback, la serie svela gradualmente le dinamiche sociali e psicologiche che hanno portato al crimine, includendo il ruolo del machismo online e della rabbia maschile tra gli adolescenti (che c’è anche nelle nostre classi). La mia amica e collega Claudia F., che l'ha vista, dice che lascia un senso di impotenza profondo, sopratutto per la condizione di incomunicabilità che denuncia.
“Mi ha fatto soffrire. Ci ho trovato l'impotenza di fronte a un divario che sembra incolmabile e forse lo è. L'incomunicabilità, il non conoscere davvero chi sono i ragazzi sono cose che riconosco e vedo dal punto di vista dell’insegnante. Una volta un genitore in un colloquio mi ha chiesto “Mi dica lei quello che devo fare”. Io non lo so, perché non sono genitore. E credo che pensare che una persona, solo perché ha messo al mondo un figlio, debba riuscire sempre a controllarlo e gestirlo sia ingiusto. Ma capisco che c’è qualcosa che sfugge dalle mani. Vedo la debolezza e anche la paura. La serie solleva degli interrogativi che esistono negli adulti, secondo me. A cui non riesco a dare una risposta, perché sono complessi e sfaccettati”.
Io la vedrò quando avrò più coraggio.
Narcisi a ricreazione?
Durante l’intervallo ho chiesto a un ragazzo se avesse sentito, magari con un WhatsApp, il compagno che aveva perso il nonno in questi giorni. Mi ha risposto: «Non siamo così amici, prof». Gli ho replicato che non è necessario essere amici per capire che qualcuno sta soffrendo e gli ho suggerito di pensarci.
Così ho approfondito la questione con i malcapitati davanti a una birra (lo sappiamo che sono una rompicoglioni), nella speranza di trovare una spiegazione razionale o comprensibile a quello che mi sembra un grosso problema.
L’empatia1 è una delle abilità sociali più trasversali ed è quella che, secondo i neuroscienziati, ha permesso lo sviluppo, e la conservazione, della nostra specie.
È un dato di fatto che l'empatia scarseggi tra gli adolescenti, mentre osservo una profonda attenzione ai propri sentimenti, fino a sfiorare una sorta di narcisismo.
La Marti continuava a chiedermi se fossi proprio sicura si trattasse di narcisismo. Secondo me sì, ma lascio in sospeso la domanda. C'è comunque un forte autoriferimento: “le mie emozioni sono sempre più importanti di quelle degli altri”.
Fabio poneva invece l'accento sulla contrapposizione rispetto alla nostra esperienza. Noi adulti (fino agli anni 80-90) siamo sempre stati abituati a stare con altri, a giocare in giardino con i bambini del condominio, a vivere situazioni diverse interagendo con adulti, compagni, genitori di amici. Insomma, una gamma di esperienze molto più diversificate e arricchenti. Questo convalida la visione di Edith Stein, la filosofa allieva di Husserl, che studia il rapporto con gli altri, come l’atto attraverso cui la persona si costituisce nell’esperienza con l’alterità.
Medium ovvero filtro
I ragazzi di oggi, invece, vivono dietro uno schermo. Qualche giorno fa mentre prendevamo un caffè al bar, un collega osservava: «Ma non è che questi schermi riducono la capacità di vedere dei ragazzi?». Non so se questo accada a livello fisico, ma credo che vedere il mondo attraverso uno schermo renda tutto filtrato, mediato, indiretto. Il mondo diventa ciò che vedo sullo schermo, non più ciò che sperimento nella mia vita.
Le proprie esperienze sono amplificate, perché manca il confronto diretto con gli altri, che accrescerebbe invece l’intelligenza emotiva.
Claudio, poi, è intervenuto dicendo che i ragazzi sono sempre focalizzati su se stessi, sull’io, e questo mi ha riportato al tema del narcisismo. Allo stesso tempo, però, ci sono reazioni esagerate per situazioni come un animale ferito o un cagnolino che guaisce per la solitudine2.
Gli studi di Avenanti mostrano due tipi di empatia: una semplice e primitiva (somatic resonance), che consiste in una risposta somatica del nostro corpo, identificabile come percezione del dolore, a quello che vediamo accadere ai corpi altrui al di fuori di noi, e una empatia più complessa sia cognitiva sia emotiva (affective resonance) perché coinvolge aree del cervello associate all’elaborazione emotiva e comprende anche la valutazione delle emozioni e delle intenzioni degli altri. Una sorta di risonanza emotiva.
Ho ipotizzato che, dimostrando che i ragazzi non sono del tutto privi di emozioni, magari la capacità empatica possa limitarsi a un livello più semplice, non evolvendosi a quello più complesso.
Massi, a sua volta, sottolineava che anche un eccesso di empatia porta problemi—un punto valido, ma che affronteremo un'altra volta.
Che cosa accade nella relazione educativa
Perché noi insegnanti dovremmo interrogarci sull’empatia?
Daniela Lucangeli ci ha insegnato che l’apprendimento funziona attraverso una relazione.
Per fare in modo che la relazione avvenga io che insegno, devo sintonizzarmi sulle emozioni del mio studente, ma anche il mio studente deve sintonizzarsi sulle mie. Perché le relazioni unilaterali non sono relazioni, è chiaro. Se il mio studente non capisce che io desidero aiutarlo, che accolgo la sua fatica e che sono fiduciosa nell’ascoltare quello che mi vuol dire, cioè non può sintonizzarsi con me, non c’è nessuna possibilità di apprendimento.
Come si può dunque stimolare l’empatia in ragazzi così apatici?
Da ragazza chiamavo ironicamente questa apatia come una malattia: apatite, un po' come l'epatite, qualcosa che si prende più o meno a delle parti importanti e vitali del corpo. In realtà l’apatite è anche un gruppo di minerali fosfati di calcio con formula chimica generica Ca5(PO4)3[F,OH,Cl]Ca5(PO4)3[F,OH,Cl]3. Il nome deriva dal verbo greco ἀπατάω (apatáō), che vuol dire io inganno4, perché veniva confuso con altri minerali come il berillio e il peridoto.
Non mi sorprende oggi che gli adolescenti si chiudano in una bolla per sopravvivere emotivamente. Mi è venuto in mente che l’apatia potrebbe essere una maschera per ingannare gli altri e distogliere l’attenzione…
Mi stupisce però il contrasto tra questa assenza di empatia e l’intensità estrema delle emozioni personali. Il che conforta la mia convinzione che vivano anche loro di emozioni (travolgenti e assolute, come accadeva ai poeti romantici dell'Ottocento, in preda alle passioni, alla rabbia, all'impotenza e alla disperazione...).
Domande aperte
I ragazzi non rispondono mai al telefono, non fanno una telefonata a voce. La voce è una cosa fisica, rifuggono dal contatto fisico, dal contatto reale. Mi viene da chiedermi: da cosa si stanno difendendo? Qual è il dolore che cercano di evitare? Che cosa li ferisce così terribilmente?
Con Martina abbiamo pensato che forse il problema si potrebbe aggirare lasciando aperte domande che la scuola normalmente evita. Domande come quella che Pirandello pone alla fine del Mattia Pascal: «Io non so ch’io mi sia», tu sai chi sei?
Queste domande favoriscono il desiderio di riconoscersi negli altri. Perché l’empatia alla fine significa provare delle sensazioni insieme, non provare delle sensazioni come se tu fossi dentro l’altro (secondo me questo è disfunzionale, non sono una psicologa: ma sentirsi dentro l’altro, brrr).
Non è così facile se l’altro ti è estraneo e soprattutto se tu non vuoi provare delle emozioni e rifuggi da tutto ciò che ti può in qualche maniera coinvolgere.
Una cosa da poco
In tutto ciò non ho una risposta, ma ho capito, credo, una cosa. Che secondo me si sottovaluta. Nell’empatia, a differenza di tantissime altre situazioni, non c’è un giudizio, non ci deve essere. Io non entro in sintonia con l’altra persona, le sensazioni dell’altra persona, i sentimenti di un’altra persona perché sono d’accordo con lei o con lui.
Li capisco e basta, punto. Riconosco le emozioni che affiorano, mi posso sintonizzare, non sono obbligata a condividerli5, non c'è un giudizio.
Questo aspetto è fondamentale: se i ragazzi (o gli adulti?) comprendessero davvero il valore dell'empatia e della sua capacità di sospendere il giudizio su ciò che provano gli altri, quale cambiamento potrebbe avvenire?
Forse è il giudizio degli adulti (e quindi che empatia hanno gli adulti6 che vogliono insegnare 'ste cose?) che temono i ragazzi nella condivisione delle emozioni?
Ma questo, in fondo, è un test per approfondire il nostro livello di empatia…
Buon caffè ☕
Simona
Studi neuroscientifici moderni hanno confermato che l'empatia è legata a specifiche aree del cervello, come i neuroni specchio, che permettono di rispecchiare le emozioni degli altri. Questi meccanismi biologici hanno rafforzato l'idea che l'empatia non sia solo un costrutto culturale ma una caratteristica innata con radici profonde nell'evoluzione umana. Qui un interessante articolo.
A me è venuto in mente il fatto che inizialmente, quando il termine viene coniato, indicava il sentimento “oceanico” di sentirsi parte della natura (diverso dal panismo dannunziano che è un sentimento di fusione con la natura).
Appartiene al sistema cristallino esagonale bipiramidale ed è caratterizzata da una durezza di 5 sulla scala di Mohs e una densità compresa tra 3,16 e 3,22 g/cm³. Questo minerale si presenta in una vasta gamma di colori, tra cui verde, blu, giallo, rosa, marrone e violetto, con una lucentezza che varia da vetrosa a sub-resinosa. L'apatite è una fonte significativa di fosforo, utilizzato nella produzione di fertilizzanti, acidi e materiali dentali. La sua versatilità la rende preziosa anche in processi industriali come la produzione di ceramiche.
Il verbo greco antico ἀπατάω (apatáo) significa principalmente ingannare, trarre in inganno o deludere. Nella forma passiva, può assumere il significato di sbagliarsi o prendere un abbaglio. Secondo il Rocci, ἀπατάω viene tradotto come ingannare, illudere, trarre in errore. Il sostantivo correlato ἀπάτη (apátē) indica inganno, frode o illusione.
Questo potrebbe rispondere alla obiezione di Massi che evidenziava il pericolo di “sentire troppo empaticamente”.
Sarebbe bello raccogliere esempi vissuti di come noi adulti diamo prova dell’incapacità empatica che dimostriamo e, cosa ancora peggiore, di come non siamo minimamente consapevoli neanche delle nostre emozioni e di che cosa comunichiamo…