☀️ #17 Dare senso 2/2
Questa è la diciassettesima newsletter del 2025. Mi avventuro in una epistemologia dell'insegnare, barcamenandomi tra brainrot, linguistica e lonfi....
Marciume del cervello
La newsletter di wearemarketeres offre sempre spunti sulle ultime tendenze che funzionano nel mondo del marketing e del mercato digitale, come ad esempio, la recente moda del brainrot italiano1. Avevo già sentito il termine ma non avevo approfondito e, poiché avevo tempo mentre ero dalla parrucchiera, mi sono dedicata ad una ricerca sul fenomeno.

Brainrot2, letteralmente sarebbe “rottura del cervello”, è la parola scelta dall’Oxford University Press come neologismo per il 2024. La definizione più precisamente indica:
“il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, visto soprattutto come il risultato di un consumo eccessivo di materiale (ora in particolare di contenuti online) considerato banale o poco impegnativo”.
La versione italiana, “italian brainrot”, è un fenomeno digitale diventato virale grazie all’azione combinata di GenZ e Alpha italiana che ironizza polemicamente sul proprio cervello in decomposizione: si creano personaggi improbabili con l’IA, come squali con le Nike cui vengono dati nomi ridicoli (Trallallero Trallalà) accompagnati da filastrocche nonsense e che spesso sono protagonisti di storie altrettanto campate per aria.
La spiegazione del fenomeno, come sempre, affolla articoli di costume, e c’è anche chi paragona l’Italian brainrot a un movimento culturale come il Futurismo (sarà per l’utilizzo spropositato di suoni onomatopeici, messaggi dissacranti e devastazione della sintassi…). Può darsi.
Voglio trovare…
Dentro la mia testa Vasco Rossi canta:
“Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha…”.
Sentire la necessità di spiegare ciò che apparentemente non ha senso è l’evidente conferma che noi esseri umani, pur dichiarando l’esatto contrario, abbiamo bisogno di dare senso.
La parola latina “sensus”, da cui deriva l’italiano senso, mantiene due significati già presenti, a quanto dicono i linguisti, nella radice protoindoeuropea *san. Facendo un brevissimo excursus, sensus è il participio del verbo sentio, is, sensi, sensum, sentire3. Tra i significati troviamo da una parte percepire con i sensi, fino ad arrivare sperimentare e imparare a conoscere; e dall’altro percepire con l’intelletto, quindi rendersi conto, esser conscio, pensare. Anche l’italiano mantiene questa duplicità originaria di una percezione attraverso l’esperienza del corpo e attraverso l’elaborazione del pensiero4.
Sinonimi non equivalenti
Nel parlare comune utilizziamo senso e significato come parole equivalenti.
Non è così.
Non si sovrappongono completamente: senso mantiene un attaccamento profondo alla percezione corporea, che ne è il presupposto, tanto che una delle connotazioni che può assumere la parola è quella di orientamento, direzione, per quella strana abitudine per cui, citando due autori che amo molto5,
“i concetti che regolano il nostro pensiero non riguardano solo il nostro intelletto, ma regolano anche le nostre attività quotidiane, fin nei minimi particolari: essi strutturano ciò che noi percepiamo, il modo in cui ci muoviamo nel mondo e in cui ci rapportiamo agli altri.”
Non è un caso che una parte consistente dello studio di Lakoff e Johnson sia dedicata alle metafore di orientamento: anche “se non sappiamo molto su come le metafore siano fondate sulla nostra esperienza6”, è un fatto che lo siano. Per la stessa logica con cui intendiamo senso ciò che ci permette la percezione fisica e ciò che ci fa ragionare nell’intento di dare una direzione a ciò che facciamo.
E avviene così che la scuola si sfasci…
Insomma, dare un senso ha più a che fare con il cercare un nesso che colleghi il nostro “essere nel mondo7” che non lo sfoderare significati e risposte ad ogni perché. E in effetti sono poco convincenti i docenti che hanno la verità sempre pronta in tasca.
“La risposta è a pagina 142”, ha ben poco a che vedere con un possibile senso dell’insegnamento. Tuttavia può essere utile nell’identificare un significato, di una parola, di un oggetto, di un’opera d’arte o di un concetto.
Ma avere un significato non coincide con il senso di qualcosa, di quello che facciamo a scuola, della nostra esistenza. Lo dice bene Albert Camus8 nel Mito di Sisifo:
E avviene così che la scena si sfasci. Alzarsi, il tram, le quattro ore di lavoro, il pasto, il tram, altre quattro ore di lavoro, il pasto, il sonno e lo svolgersi del lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato sullo stesso ritmo... questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto, un giorno sorge il “perché” e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore. La stanchezza sta al termine degli atti di una vita automatica, ma inaugura al tempo stesso il movimento della coscienza, lo desta e provoca il seguito, che consiste nel ritorno incosciente alla catena o nel risveglio definitivo.
Anche insegnare può essere un’azione ripetitiva, automatica, assurda.
Non è certo il caos o il nonsense che impedisce un possibile orizzonte di senso. È la convinzione di non avere più domande a cui rispondere perché conosco il significato di questa o quella parola.
Non so se questa sia riconducibile all’immobilità in cui versa la scuola da anni: avere focalizzato la didattica sul significato di parti sempre più parcellizzate di saperi senza tenere d’occhio il senso del quadro completo, the big picture.
Ma poiché non voglio ammorbare oltre con la mia ricerca epistemologica sull’insegnare, faccio un esempio di quello che ho elaborato nella mia lotta contro l’ignoranza grammaticale.
Nel magico mondo della grammatica
Durante l’ultimo corso sulla creatività di Altisensi, Paola e Marianna hanno riproposto una filastrocca che mi piaceva tanto, Il lonfo di Fosco Maraini9 (interpretata da Gigi Proietti è da sbudellarsi dalle risate).
Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s'archipatta.
È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.
Spesso la si trova in alcuni manuali per spiegare la differenza tra significante e significato, un concetto introdotto da De Saussure, il padre dello strutturalismo linguistico e della semiologia, nel suo Corso di Linguistica generale agli inizi del Novecento.
Le parole inventate rappresentano dei significanti puri perché non hanno un significato codificato e condiviso. Uno degli esercizi che si propongono agli alunni è di “tradurre” il testo. L’operazione di tradurre il testo è coincidente con il cercare il significato, in genere più vicino foneticamente o per analogia.
A me piacerebbe portarla in classe e farla ascoltare ai miei studenti di prima superiore, che mi guardano straniti ogni volta che spiego che la grammatica è un mondo meraviglioso in cui tutto ha senso.
Perché la poesia Il lonfo ha senso: sono le regole grammaticali che permettono di capire e di divertirsi anche se le parole non hanno significato.
Forse non si può trovare un significato e un perché ad ogni singola cosa, per la stessa ragione per cui non riuscirò a tenere perfettamente in ordine casa mia, la mia borsa e la mia vita. Ma un senso sì.
Il mio tentativo quest’anno è stato di tessere fili che costruissero un quadro ed ora che il quadro è quasi finito, mi accorgo che non è proprio tutto perfetto, ma c’è.
C’è un senso per me in quello che ho voluto fare quest’anno.
Lo racconterò la prossima volta.
Buon caffè ☕
Simona
L’Italian Brainrot è un fenomeno di meme nati in Italia, diventati virali su TikTok e poi utilizzati da alcuni brand nel marketing. Questi meme sono volutamente assurdi, senza senso, creati con l’intelligenza artificiale: immagina uno squalo con le Nike o un elefante-cactus con le Birkenstock. Ogni personaggio ha una sua “storia”, come fossero i “Pokémon di Internet”. Nonostante sembrino folli e senza logica, questi contenuti hanno avuto successo proprio perché rompono le regole classiche della comunicazione: sono disordinati, ironici, pieni di inside joke (cioè battute comprensibili sono a un gruppo ristretto di persone). I brand che parlano ai giovani li stanno usando per essere più autentici e creare connessioni reali. Il succo dell’articolo è che oggi non serve creare contenuti perfetti. Serve creare qualcosa in cui il pubblico si riconosca, anche se è strano o imperfetto.
A onor del vero, la parola è stata usata da Henry David Thoureau nella sua opera Walden, 1854.
Da IL Vocabolario della lingua latina, Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, Loescher Editore.
Dal punto di vista filosofico e linguistico, la parola “senso” assume una dimensione più complessa rispetto al semplice “significato”. Secondo la distinzione classica di Frege, il significato (Bedeutung) è l’oggetto o la realtà cui una parola si riferisce direttamente, mentre il senso (Sinn) è il modo in cui quell'oggetto o concetto viene presentato e percepito dalla mente. Per chi vuole farsi del male, si può approfondire qui, qui e qui.
pag 29, Metafora e vita quotidiano, G. Lakoff, M. Johnson, 2022 ROI Edizioni.
Ibidem, pag 46.
L'espressione “essere nel mondo” è un concetto filosofico centrale nella riflessione di Martin Heidegger, esposto principalmente nella sua opera Essere e Tempo (1927). Indica la condizione fondamentale dell'esistenza umana, che non è mai un'esistenza isolata o astratta, ma sempre immersa e coinvolta in un contesto concreto di relazioni, significati e pratiche. Cioè, secondo Heidegger l’essere umano vive sempre in una situazione concreta in relazione con gli altri e con il mondo circostante: la sua esistenza è definita dalla possibilità di progettarsi e prendersi cura di sé e del proprio mondo.
Albert Camus (1913-1960) è stato uno scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo e giornalista francese nato in Algeria. Cresciuto in una famiglia povera, perse il padre durante la Prima Guerra Mondiale e visse gran parte della sua vita segnato dalla tubercolosi. Studiò filosofia all’Università di Algeri e si affermò con opere come Lo straniero e Il mito di Sisifo. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu redattore del giornale Combat. Nel 1957 ricevette il Premio Nobel per la letteratura. Il pensiero di Camus è spesso associato all'esistenzialismo, anche se lui stesso rifiutava questa etichetta. La sua filosofia ruota attorno al concetto di assurdo, che nasce dal contrasto tra il desiderio umano di trovare un senso alla vita e l’indifferenza del mondo. Camus sostiene che, di fronte all’assurdo, l’unica risposta autentica è la rivolta: vivere con consapevolezza dell’assurdo senza ricorrere a illusioni o religioni, affermando la libertà e la dignità umana. Questo tema è centrale in opere come Il mito di Sisifo e L’uomo in rivolta.
Per capirci, il padre di Dacia Maraini. Fosco Maraini (1912–2004) è stato un intellettuale italiano poliedrico: antropologo, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poeta. Fosco Maraini è ricordato per la sua straordinaria capacità di raccontare e fotografare mondi lontani, unendo rigore scientifico e sensibilità artistica; l’opera Gnòsi delle Fànfole (1994), da cui è tratta la poesia, è un esempio della sua originale poesia metasemantica.
Brr brr patapim, il mio cappello è pieno di slim!