🪩 #19 Team work
...quello che gli insegnanti chiedono agli studenti ma non fanno con i colleghi. Questa è la diciannovesima newsletter del 2025.
Lavorare in gruppo
Gli insegnanti richiedono agli studenti di fare delle cose che loro stessi non sono capaci di fare. In questo, sono la peggiore specie di adulti.
Questo è periodo di ultimi consigli di classe, si sente la pressione dell’esito finale, ci si prepara agli scrutini (infatti adesso dovrei dedicarmi alla stesura del Documento del 15 maggio, ma sono ancora qui…)…
Capita che mi arrivi all’orecchio qualche frase del tipo: “Ma anche in laboratorio si boicottano, anziché aiutarsi. Preferiscono farsi gli scherzi e rovinare il lavoro degli altri piuttosto che collaborare”, oppure: “Ah abbiamo fatto le attività in gruppo ma non sono proprio capaci di lavorare insieme, giocano, ridono, perdono tempo… un sacco di fatica inutile!”; “Tu spieghi e loro chiacchierano”; “Ah, sono sempre distratti, dormono, pensano ad altro”.
I tanti sacchi di fatica che ho raccolto in questi anni, per fortuna, per il mio modo di vedere le cose, non sono inutili. La realtà è che gli insegnanti richiedono agli studenti di fare delle cose che loro stessi non sono capaci di fare. Sono la peggiore specie di adulti.
Venerdì scorso le mie classi hanno organizzato un evento di raccolta fondi per AVSI per sostenere Nathaniel e Hope, coinvolgendo i docenti di Chimica e il Birrificio Rurale della nostra città.
La serata è stata un successone.
L’amplificatore non era perfetto, quindi il brusio sovrastava tutto. Dalla mia postazione vedevo le macchie di rumore: i genitori attenti, le mie amiche e i miei amici che cercavano di afferrare le mie parole (che peraltro si sentivano addirittura all’esterno), gli studenti che bisbigliavano vicini, i miei colleghi… i miei colleghi… ecco gozzovigliavano come se fossero in pizzeria.
A quanto pare non sono stata l’unica ad osservare questo fatto curioso e quelli che hanno avuto libertà nel commentare la serata, hanno rilevato la nota dolente dell’amplificazione troppo bassa (meglio, così ho parlato poco) e quel tavolo di docenti che si facevano beatamente i fatti loro, parlando ad alta voce.
Come quelli che scoppiano BigBabol ai funerali.
Insieme è più difficile
Per quale motivo i miei colleghi dovrebbero “disturbare” un evento a cui hanno deciso di partecipare (e non certo perché io li abbia costretti), che risulta la chiusura del progetto di Educazione Civica delle mie quinte?
Non è malafede, semplicemente…o cattiveria….
A qualcuno è mai capitato di portare i ragazzi in gita e accompagnarli a visitare musei? Ecco, io penso che, come i nostri studenti non comprendono il valore di seguire un percorso in una visita guidata, così noi insegnanti (io per prima) ci lasciamo sfuggire il significato di ciò che facciamo.
Questo pensiero mi ha fatto balenare una domanda: quindi il motivo di tante fatiche nella scuola potrebbe essere che i docenti per primi non sanno che valore attribuire al riunirsi e lavorare insieme per fare scuola?
Che lo si voglia o no, concepire il mestiere di insegnante con la convinzione di poter chiudere la porta dell’aula e lasciare il mondo fuori (quante volte ho vantato questa cosa!) non è più sostenibile.
Il team working è poco sviluppato tra insegnanti. Vero è che la gran parte della didattica punta sull’apprendimento cooperativo in tutte le sue varianti e declinazioni. Tuttavia se ci sono corsi e corsetti perché i docenti imparino le tecniche didattiche del cooperative learning, il vuoto più assoluto regna sul lavorare insieme tra docenti come gruppo, il team work, insomma.
Lo ammetto: da sola faccio prima e mi stresso meno. Ed e sappiamo che rottura (ossia, enorme dispendio di energie relazionali, per lo più inutilmente) sia avere questo o quel collega nel consiglio di classe. E ho anche molto presente la povera Margherita che, per sua sventura, è finita a fare il tirocinio nelle mie ore e nelle mie classi, e quanto vorrebbe darmi una mano e capire come funziona la scuola, e io non riesco a dirle tutto quello che mi passa per la testa e comunicare come vorrei. Perciò confermo: è difficile. Anche se uno lo desidera.
Gregge o tribù?
Ma quindi perché dovremmo chiedere agli studenti di sviluppare competenze relazionali per lavorare con gli altri se noi, per primi, evitiamo accuratamente di collaborare, finché è possibile?
“Io ritengo l’atteggiamento “da pecora” come la conseguenza dell’assunzione di persone che sono state educate a sottomettersi docilmente, si sono viste assegnare lavori per decerebrati e hanno troppa paura per non attenersi scrupolosamente agli ordini… Formare uno studente affinché possa poi far parte del gregge è molto più facile dell'alternativa. Adottare un metodo didattico finalizzato al superamento delle prove di verifica, garantendosi un'assoluta obbedienza e servirsi della paura come pungolo sono le strategie più semplici e più rapide nel sistema scolastico. Allora perché ci stupiamo se si diplomano così tante pecore?”
Così scrive Seth Godin1, che ha cambiato negli ultimi vent’anni il modo di pensare al marketing e alla cultura delle organizzazioni, valorizzando l’iniziativa personale e l’importanza del senso di appartenenza (non c’è bisogno che richiami qui la piramide dei bisogni di Maslow…).

Che cosa succede quando uno studente “pecora” diventa un insegnante?
“E cosa dire dell'università? Qui la posta in gioco è più alta (costi, opportunità, rette, mercato del lavoro) e gli studenti ricorrono a ciò che è stato loro insegnato lungo tutto il curriculum scolastico: seguire il gregge. Diventano pecore molto istruite, ma pur sempre pecore2”.
A nessuno piace considerarsi una “pecora”.
Ci crediamo tutti un po’ fuori dal gregge. La dico come la capisco: un conto è che soddisfiamo il nostro bisogno di appartenenza seguendo il “gregge”, senza prendere mai un’iniziativa, un altro paio di maniche è appartenere ad una tribù.
“L’appartenenza a un gruppo, scrive Seth Godin, è insita nella natura degli esseri umani. Uno dei nostri più efficaci sistemi di sopravvivenza consiste nell’unirsi a una tribù, cioè offrire il nostro contributo (e trarne vantaggio) a un insieme di persone con opinioni e interessi a noi affini.”
Secondo Godin, “per diventare una tribù, un gruppo deve essere caratterizzato da due elementi: un interesse comune e un mezzo di comunicazione3”.
Domandona: i docenti si sentono di appartenere a una tribù o a un gregge?
Per come la vedo io, i docenti fanno parte di una tribù, un gruppo sociale diffuso e sostanzialmente omogeneo. Ma, a volte, alcune tribù si bloccano, “tribù che si sono arenate; non sono granché interessanti, non creano valore e sono piuttosto noiose4”.
Mi sembra una descrizione semplice ma accurata della scuola che viviamo adesso.
Molti insegnanti chiedono agli studenti di lavorare insieme, ma non sanno farlo loro stessi.
Perché non ne vedono il senso.
Non ne conoscono il valore.
E non se lo domandano.

E allora restano, malvolentieri, in qualcosa da cui non vogliono sparire del tutto, ma a cui non vogliono contribuire davvero.
Dicono che lo fanno per gli studenti, che la scuola è finita. Ma non ci credono: né nella possibilità della scuola, né che la scuola sia finita.
Per lavorare insieme è necessario un interesse comune, in cui è possibile riconoscersi e decidere di lavorare nel gruppo, e lavorare in gruppo non è realizzabile senza un obiettivo chiaro che si riconosce di valore.
Solo così si può costruire una nuova appartenenza.
Solo così nasce una tribù.
E sì, prendere l’iniziativa è la parte più difficile
Sono per una una rivoluzione dal basso.
Credo che i docenti possano generare quella spinta di cambiamento necessaria per creare una nuova tribù.
La tribù dei docenti che fanno il primo passo.
Buon caffè ☕
Simona
PS: sono molto grata della serata a tutti coloro che hanno partecipato, anche a quelli che parlavano perché vuol dire che l’atmosfera era calda e familiare, ma sopratutto agli alunni che si sono impegnati ad organizzare ogni cosa (era bello vederli passare tra i tavoli e rispondere alle mie domande).
pag. 104, Seth Godin, Tribù, 2021 ROI Edizioni.
pag. 105, ibidem.
pag 14 e 13, ibidem.
pag. 17, ibidem.