🧹#20 Avere cura - parte 2
Elogio della scartoffia. Questa è la ventesima newsletter del 2025 e riprendiamo un tema della newsletter #15.
Che cosa ami del lavoro di insegnante?
Qual è il lavoro, durante tutto l’anno scolastico, più amato da parte di un insegnante?
Nella ridda di possibili risposte, più ironiche o più motivanti a seconda del temperamento di ciascuno, sono sicura che tutti concorderebbero sulla redazione di programmi, relazioni, verbali, piani personalizzati, progetti…
No? Non è così?
Dovrebbe, però.
A nessuno piacciono le scartoffie. Lo diciamo, lo dico anche io, “a che serve?” - “tanto nessuno le legge” - “tempo e fatica sprecata” - “tutta questa burocrazia ammorba la scuola”…
La burocrazia ammorba, è una verità indiscussa. Secondo Max Weber si tratta un sistema razionale e necessario per il funzionamento della società moderna e dello Stato. Henry Mintzberg, nella sua elaborazione dei modelli organizzativi, ha attribuito alla scuola la tipologia della burocrazia professionale, una tipologia in cui il nucleo operativo è costituito da professionisti (gli insegnanti) e ne rappresenta la componente chiave tanto che lo staff di supporto ha un bel daffare per permettere lo svolgimento delle attività.
Dei difetti delle burocrazie, nell’organizzazione scolastica non ne manca uno: lentezza, rigidità procedurale, resistenza al cambiamento…
Anche Alessandro Barbero, il nostro Magister che illumina le notti buie della Storia, ha avuto modo di denunciare l’eccesso di burocrazia e scartoffie che soffocano la scuola a discapito della relazione con gli studenti.
Nessuno vi darà torto se scrivete questo sui social o su Facebook o vi lamentate in Sala docenti. Persino i genitori potrebbero darvi ragione.
Quindi, quello che ho da dire non piacerà a nessuno.
Abbasso la burocrazia, ma…
Anche io, come tutti, mi sono sempre lamentata, delle scartoffie1. Sopratutto a inizio anno (quando ci sono le programmazioni iniziali e i PdP) e a fine anno.
Ogni anno il coordinamento della classe prevede un sovraccarico di burocrazia. Per le quinte il documento del 15 maggio, la fotografia della classe che arriverà all’esame.
Si raccolgono i programmi effettivamente svolti, con una breve relazione del docente, per ciascuna disciplina (compresa Educazione Civica), si presentano le attività svolte, le uscite didattiche, i progetti dal PCTO alla certificazione di Lingua inglese, come si sono svolte e come la classe ha affrontato l’anno scolastico. Insomma: tutto quello che occorre sapere per la commissione che verrà e valuterà.
Perché chi arriva e deve giudicare i maturandi deve essere messo nelle condizioni di poter soppesare tutti gli elementi che hanno portato quello studente fino a sedersi davanti a quella commissione per quel colloquio. Significa, senza mezzi termini, preoccuparsi dei propri studenti.
La cura della relazione passa anche attraverso la cura di queste “scartoffie” burocratiche, non è una cosa diversa. Tutto sta in come le concepiamo. Con la stessa logica per la quale chiediamo agli studenti di assolvere il dovere di studiare, svolgere compiti assegnati, farsi interrogare…
Quando ho chiesto ai colleghi che mi inviassero i programmi e le relazioni, mi si sono rizzati i capelli sulla testa: c’è anche chi ha fatto copia e incolla del programma iniziale e l’ha inviato nel testo della mail, senza neanche indicare un libro di testo.
Una tale sciatteria nel fare le cose mi ha ferita. Mi ha fatto pensare a quando rimproveriamo agli studenti lo stesso atteggiamento di noncuranza, i compiti “buttati lì”, così per farti contento e noi, giustamente, ci inalberiamo.
Ma se noi agiamo da sciattoni nel nostro lavoro, come possiamo pretendere diversamente dagli altri?
Neppure io, sia chiaro, muoio dalla voglia di scrivere le relazioni, anche se ho imparato che può essere uno strumento utile per porsi degli obiettivi all’inizio dell’anno, sulla base di quello che riscontriamo come bisogno della classe, e per riflettere su come abbiamo lavorato alla fine.
Una sorta di diario di bordo della traversata, da porto a porto.
Come diciamo agli studenti, certo che non vuoi farlo, non piace a nessuno fare fatica, no?
Un antidoto
La scuola non si cambia perché il ministro fa la riforma del secolo.
La scuola cambia quando la bidella anziché passare dritto davanti alla macchia per terra, si ferma un attimo di più a pulirla.
Quando il docente, con poco tempo a disposizione, si chiede se ha scritto tutto il necessario per agevolare la collega sfigata che dovrà unire tutti i pezzi in un documento chiaro.
Quando iniziamo a pensare che le cose da fare, vanno fatte bene. Come chiediamo ai figli. Come chiediamo agli studenti. Come chiediamo principalmente agli altri.
Avere cura delle piccole cose, degli oggetti quotidiani, delle fastidiose necessità, permette di cacciare la sciatteria dalla scuola.
E ho capito che non è un compito facile.
Buon caffè ☕
Simona
Faccio la sbrodolata da secchiona: ci dimentichiamo che nella scuola tutto ciò che facciamo si concretizza in atti amministrativi (non è un caso che alcuni vengano pubblicati nel sito della scuola, ad esempio). Questi sono da svolgersi con “la dovuta diligenza”: come facciamo a vederci riconosciuto un ruolo, una funzione pubblica, se appena possibile tralasciamo di comportarci come richiede la stessa funzione?
Ti leggo in silenzio da parecchio, cara collega, oggi invece non posso non rispondere. Tocca troppo le mie corde, pecco anche io di sciatteria a volte e e sono consapevole. A volte addirittura mi dico :, eh ma lo fanno tutti, il livello è questo e allora mi adeguo. Ma! Ma se volessimo cambiare rotta? Come si fa? Posso farlo io personalmente dato che lo decido e mi pongo degli obiettivi. Come si fa affinché anche altri colleghi siano più precisi e competenti?