🇬🇧 #3 English proficiency
Questa è la terza newsletter del 2025. Qua decido di dividere in due parti la newsletter: una in cui parliamo della competenza nel titolo e la seconda sui feedback e gli aggiornamenti sulla sfida.
Tutor AI per imparare le lingue?
Immagina un mondo in cui gli insegnanti sono intelligenze artificiali altamente sofisticate. Non è uno scenario per una nuova serie di Netflix: in realtà sta già avvenendo. Ce lo riferisce la Banca mondiale (quindi non pissi pissi bau bau, dicono ad Oxford) in questo articolo: in Nigeria è stato condotto un progetto pilota che ha utilizzato l'AI generativa come tutor virtuale in un programma dopo-scuola. I risultati principali dopo 6 settimane di intervento (giugno-luglio 2024) sono stati:
Miglioramenti significativi nell'apprendimento della lingua inglese, delle competenze digitali e delle conoscenze sull'AI;
Gli studenti hanno ottenuto risultati migliori anche negli esami curriculari standard;
I benefici sono stati universali, con particolare vantaggio per le studentesse (riduzione del gender gap);
I miglioramenti nell'apprendimento sono stati notevoli: equivalenti a circa 2 anni di apprendimento tradizionale in sole 6 settimane;
Il programma ha superato in efficacia l'80% degli interventi educativi studiati nei paesi in via di sviluppo.
Potrebbe essere la soluzione1 per la bestia nera di molti studenti italiani: l’inglese!
Una nota dolente per gli italiani
La competenza di questa terza settimana è tutta dedicata all’inglese che divide la popolazione italiana tra chi lo sa e lo usa e chi lo detesta.
Secondo una indagine di Education First nel 2024, la conoscenza dell'inglese tra i giovani di età compresa tra 18 e 20 anni ha subito un significativo declino globale dal 2015, registrando per l’Italia una diminuzione di più di altri 7 punti dall’anno scorso, quando era al 35°posto. La competenza linguistica in lingua inglese in Italia è scesa al 46° posto nella classifica mondiale (32° su 35 in Europa).
Ma a che servirebbe imparare a saper fare qualcosa, come parlare inglese, se abbiamo l’Intelligenza artificiale? Non è più semplice un tutorGPT o meglio ancora un traduttore universale galattico come quello del capitano Kirk? E se si raggiungono risultati così incoraggianti perché insistere nello studio dell’inglese a scuola?
Perché lo studio dell’inglese a scuola2 non funziona?
Uno dei feedback che mi sono stati restituiti da Viviana Pinto, Ceo di Discentis, di cui ho raccontato nello scorso episodio, è che non ha trovato subito nel mio curriculum le competenze linguistiche. Si tratta di una skill determinante in un posto di lavoro. Ed è una di quelle cose su cui continuo a formarmi, nonostante il poco tempo e la poca disponibilità di mezzi e risorse.
Così ho provato nell’ultimo anno a implementare la mia competenza con un tutor AI.
Ethan Mollick3, associate professor alla Wharton School di Philadelphia, che focalizza la sua ricerca sull’AI e sul suo impatto nell’educazione e nel lavoro, osserva che occorre però fare attenzione al fatto che l’AI possa dare “l’illusione dell’apprendimento”. Ed è quello che ho verificato io. Alla fine ne sono meno di prima.
Tornare a imparare
Quest’anno ho deciso così di partecipare al corso di inglese organizzato dal mio istituto per noi docenti, perché mi sembra negli ultimi anni di essermi “arrugginita”. Sarà l’età e la poca frequentazione con la lingua in questi ultimi anni, mi sono imposta di riprendere confidenza, lasciando perdere scorciatoie.
Il docente è madrelingua e ha subito chiarito che voleva migliorare le skills base: grammar, speaking, writing, reading, listening. Il mio “compagno di banco” è un collega che, pur detestando la grammatica, ha un’ottima competenza nel parlare in inglese. Mi ha raccontato che nel suo lavoro precedente capitava di frequente di dover conversare in inglese, al telefono o di persona, perciò aveva acquisito fluidità e sicurezza.
Così mi sono domandata per quale motivo non proponesse nelle sue ore qualche attività CLIL. I ragazzi avrebbero sicuramente giovato nell’essere sollecitati da un docente su una disciplina tecnica. Condividiamo una classe, perciò con molta libertà gli ho chiesto se poteva ipotizzare di inserire qualcosa in inglese, una piccola spiegazione, una domanda nel corso dell’interrogazione, una attività…
È stato molto titubante, anche se mi ha detto che ci avrebbe ragionato.
Apprendimento in contesti diversi: scuola vs lavoro
Dopo qualche tempo, è successo un altro fatto che mi ha chiarito il problema. Alcuni dei miei studenti svolgono l’apprendistato duale: due giorni sono in azienda a lavorare e fare formazione. Il tutor aziendale invia dei report; uno di questi sui miei ragazzi diceva che lo studente aveva avuto modo di testare le sue capacità linguistiche nella lingua straniera nel corso di una telefonata con l’estero.
C’è stata l’insurrezione (delitto di lesa maestà) perché al contrario la valutazione dell’insegnante di Lingua Inglese non considerava la performance dello stesso sufficiente.
Il punto cruciale è che nella scuola non si considera quasi mai che l’apprendimento può avvenire in molti modi. È ormai datata la classificazione dell’apprendimento in formale (tipicamente quello scolastico), informale (quello che avviene senza troppi vincoli come il mio corso di Inglese) e non-formale (cioè che accade in modo spontaneo).
Se a scuola non si riconoscono delle skills che esulano dalla “programmazione” stretta, sicuramente l’AI prenderà il posto degli insegnanti.
Ma significa anche che chi avrà la possibilità di apprendere in contesti non formali o informali (come un viaggio studio all’estero), avrà maggiori opportunità di crescita, anche professionale.
Per questo il mio collega teme di proporre la sua materia in CLIL: qualcuno potrebbe sempre accusarlo di sminuire la professionalità della collega di Inglese (e non sarebbe la mia collega di Inglese). L’idea che viene recepita è che l’inglese non è così importante…
L’apprendimento non è un territorio da difendere, è un ponte da costruire. Il punto è semplice: dobbiamo ripensare il modo in cui vediamo l’apprendimento. Non possiamo aspettarci che la scuola faccia tutto, né che l’AI risolva ogni problema. Serve un cambio di mentalità: riconoscere che le competenze si formano ovunque – in classe, al lavoro, o con un corso serale. E dobbiamo essere i primi a dare il buon esempio.
Il rischio è lasciare che le nostre insicurezze o i confini scolastici ci impediscano di vedere oltre. L’inglese, come tutte le competenze, non è solo una materia da insegnare: è una porta verso il mondo. Sta a noi decidere se varcarla o rimanere a guardarla chiusa.
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I feedback ricevuti sul mio curriculum
Se per entrare nella scuola pubblica ci lamentiamo di concorsi lunghi e complessi, nel privato il processo di selezione non è meno impegnativo. Le aziende investono nelle persone che assumono e, salvo casi rari, preferiscono essere prudenti: meglio escludere qualcuno che rischiare di assumere la persona sbagliata. Per questo, le selezioni nel settore privato sono strutturate per ottimizzare i costi e trovare il candidato più adatto al team.
Una azienda mi ha risposto con un messaggio automatico in cui mi assicurava che il curriculum era stato inoltrato correttamente e un team di esperti avrebbe considerato la mia candidatura.
Il Cadmi ha inviato una mail firmata in cui, ringraziandomi per l’interesse, mi spiegava che non c’erano posizioni aperte per il mio profilo ma che mi avrebbero tenuto presente qualora si fossero liberate delle posizioni.
Altisensi mi ha domandato come sono venuta a conoscenza della loro attività e mi propone una formazione ad hoc come primo step. Ovviamente io dirò di sì, nella speranza di avere concluso qualcuno degli innumerevoli corsi che sto frequentando.
Viviana Pinto, Ceo di Discentis, che ho già citato, mi ha risposto in modo molto articolato: i suoi feedback sono molto preziosi e mi sono presa il tempo per fare tutte le modifiche necessarie.
Inviare il curriculum è solo il primo passo. Il processo di selezione standard potrebbe essere così schematizzato:
Valutazione del CV.
Compilazione del form.
Colloquio strutturato con parametri specifici.
Eventuale proposta di collaborazione.
Ad esempio, se i recruiters di Discentis ritengono valido il curriculum inviato, presumibilmente:
Ti inviteranno a compilare un form online: il form permette di esplorare elementi non presenti nel CV (cura della scrittura, esperienza scolastica, qualità dell'idea proposta).
I candidati verranno valutati con punteggi su:
Qualità del percorso di formazione e dell’esperienza lavorativa (dal CV).
Qualità generale, esperienza scolastica, innovatività delle idee (dal form).
Punteggio speciale “Discentis-like” (intuizione su quanto il candidato sia adatto al team). Anche il “sentimento di pancia” può avere un ruolo.
Ricorda che tutti questi processi interni non sono pubblici.
Le candidature non sono gestite da una sola persona: la possibilità di una collaborazione nasce dal confronto tra due o più persone.
Nello specifico Viviana, ha dedicato tantissimo tempo nell’indicarmi alcune migliorie da apportare al mio curriculum e che ho sintetizzato perché diventassero suggerimenti utili per tutti: i nostri studenti possono giovare delle nostre competenze:
1. Organizzazione delle esperienze
Raggruppa esperienze simili in un unico blocco per maggiore chiarezza. Ad esempio, le esperienze di insegnamento possono essere organizzate con:
Nome della scuola (io ho preferito solo le tipologie di scuola).
Periodi di lavoro.
Mansioni aggiuntive (es. coordinamento, progetti, ruoli rilevanti).
Usa elenchi puntati per rendere tutto più leggibile.
2. Adatta il linguaggio al contesto
Evita termini tecnici specifici del mondo scolastico (es. PTOF, PON, PNRR).
Sostituiscili con espressioni comprensibili a un pubblico più ampio, evidenziando:
Competenze gestionali e organizzative.
Abilità nel coordinamento e nella progettazione.
3. Valorizza le esperienze extra
Inserisci progetti personali o iniziative innovative come la tua newsletter “2kgdiscuola”. (Volendo puoi specificare: obiettivi del progetto e i risultati raggiunti come numero di lettori, interazioni, impatto).
Queste esperienze dimostrano intraprendenza e capacità di creazione di valore.
4. Aggiorna i link e il profilo personale
Assicurati che il link del tuo profilo LinkedIn rifletta il tuo nome (es. Simona Sessini), mentre i progetti personali (es. 2kgdiscuola) vanno inseriti come esperienze a parte.
Un profilo LinkedIn ben curato è essenziale per trasmettere professionalità.
5. Migliora la sezione delle competenze
Suddividi le competenze in:
Soft skills: es. leadership, problem solving, comunicazione.
Hard skills: es. strumenti digitali, software, gestione di progetti.
Lingue: specifica chiaramente il tuo livello (es. Inglese B1).
Questa struttura rende immediatamente visibili le tue capacità.
6. Riduci informazioni non essenziali
Se hai un CV ricco di esperienze, riduci lo spazio per dettagli accademici (es. voto di laurea, titoli delle tesi), a meno che non siano strettamente pertinenti alla posizione.
Dai priorità a ciò che dimostra competenze ed esperienze pratiche.
7. Sii concisa e visivamente chiara
Mantieni il CV entro due pagine per garantire leggibilità e sintesi.
Considera un formato moderno, come il “one-pager”, disponibile su strumenti come Canva.
8. Aggiungi un tocco personale
Dedica una piccola sezione per parlare di te al di fuori del lavoro. Ad esempio, hobby, passioni o attività creative. Questa aggiunta può fare la differenza nel mostrare la tua personalità e creare empatia con i selezionatori.
9. Cura la presentazione grafica
Usa uno stile chiaro, professionale e visivamente gradevole.
Evita elenchi infiniti o blocchi di testo troppo densi.
10. La mia esperienza
Quando ho compilato il form, a parte il poco spazio riservato sui punti di disaccordo con l’opinione espressa in un articolo, mi sono trovata in difficoltà alla richiesta di proporre percorsi miei. Questo perché non ho l’abitudine di schedare e classificare le innumerevoli cose che faccio e che ho fatto negli anni.
Perciò sarebbe bello che ogni docente curasse un suo personale portfolio di progetti che ha pensato, curato, documentato, magari anche solo uno per anno. Non solo per l’anno di prova. Sono soddisfazioni.
Buon caffè,
Simona ☕
In questo articolo Jacopo Perfetti, esperto di intelligenza artificiale generativa, ci propone un libro per imparare a camminare. Il libro non esiste, è stato creato da lui stesso con ChatGPT. Secondo lui non è necessario avere un approccio didascalico per imparare le cose naturalmente: con l’AI si può riuscire ad avere un apprendimento individualizzato per migliorare qualunque risultato. È ciò che ha realizzato la Khan Academy, un'organizzazione educativa senza scopo di lucro fondata nel 2008 da Salman Khan, con l'obiettivo di fornire un’istruzione gratuita e di alta qualità a chiunque, ovunque nel mondo. Khanmigo è un chatbot di intelligenza artificiale sviluppato dalla Khan Academy, progettato per fungere da tutor personale per gli studenti. Khanmigo non fornisce risposte dirette agli studenti, ma li guida attraverso il processo di apprendimento. Ad esempio, se uno studente ha bisogno di aiuto con un problema matematico, Khanmigo potrebbe porre domande per stimolare il ragionamento, piuttosto che dare direttamente la soluzione.
In questo articolo de La tecnica della scuola, sono raccolti molti commenti su come la competenza linguistica sia stata raggiunta in contesti diversi da quello scolastico. In particolare si cita il fenomeno Norma Cernetti, Norma’s Teaching, che ha creato una scuola di inglese sui canali social, diversi corsi seguitissimi e anche dei libri che hanno ottenuto un buon successo.
Ha scritto un libro “Co-intelligence: Living and Working with AI”.