💪#5 Assertività
Questa è la quinta newsletter del 2025. Dove spiego la mia versione dell'assertività inserendo la "variabile di Bruto". Racconto molto veritiero di come funzionano (male) i rapporti se non sto attenta
Questa settimana doveva essere dedicata alla “leadership trasformazionale”, dei paroloni per indicare quel miracolo per cui gli alunni, da scimmie impazzite, sotto la guida paziente di alcune figure adulte significative e carismatiche, riescono ad assumere posizioni composte, a parlare senza fare versi e commuovere genitori, nonni e vicinato nelle recite scolastiche.
Invece questa settimana parliamo di assertività perché mi è capitata una cosa (che ovviamente riguarda la scuola) che mi ha fatto riflettere e avevo paura di lasciarla andare via.
La teoria di Bruto
Prima di raccontare il casus belli, devi conoscere Bruto e la sua variabile.
Bruto odia i permalosi. Il suo metodo? Quando incontra una persona, incluse le sconosciute, la apostrofa subito (senza motivo) con un secco “Sei una stronza/o”.
Se reagiscono con rabbia: Bruto li cancella. “Ha risparmiato tempo prezioso”, dice.
Se ridono o chiedono spiegazioni: può conoscerli meglio e parlarci serenamente.
La variabile di Bruto non è (solo) maleducazione fine a sé stessa: è un esperimento sociale per smascherare chi usa il conflitto come arma, anziché cercare un dialogo costruttivo.
Perché serve? Per evitare di sprecare energie con chi non è interessato a un confronto onesto. Bruto ma efficace.
Casus belli
La questione riguarda il viaggio d’istruzione a Siviglia. Non accompagno mai i ragazzi, ma, a questa classe specifica, avevo promesso che, all’ultimo anno, avremmo fatto un’uscita come si deve. Ho chiesto il trasferimento dalla mia sede per non “abbandonarli” quest’anno. Per dire.
La 13ma fatica di Ercole
L’iter burocratico1 è scoraggiante di per sé.
Per farla breve: la scuola non può organizzare il viaggio in autonomia, deve affidarsi ad una agenzia, ma per chiedere i preventivi (quindi l’istituto si impegna per quel numero di studenti) alle dette agenzie deve poter contare sull’impegno scritto delle famiglie, le quali si lamentano di non avere uno straccio di preventivo, cosa che, al momento della firma dell’autorizzazione, la scuola non può dare.
La cucaracha
A quanto pare2 nella chat dei genitori si scatenano le più accese rimostranze con denigrazioni varie sull’incapacità di questi docenti di organizzare un’uscita: che ci vorrà mai? E poi addirittura la prof.ssa Sessini che chiede agli studenti3 di contattare le aziende da visitare a Siviglia!
Faccio giungere il messaggio: invito i genitori a venire a colloquio per districare qualunque problema. Mi scrive una mamma: “Mi permetto di dire che il tipo di organizzazione è veramente carente e sono molto delusa dai docenti che se ne occupano”, “di programmazione non ci trovo niente”, “non lo trovo neanche rispettoso da parte della scuola perché ci sono famiglie che hanno problemi economici”.
Però è certa della mia comprensione.
Aggressiva, passiva, o assertiva?
A mio avviso, non rispondere sarebbe stato un errore: significava non dare importanza a una questione che faceva serpeggiare malumori. Ma che risposta vuoi dare? Chiudiamo tutto qui, non si va più perché avete rotto i foglioni?
Sono partita scrivendo tutto quello che pensavo su quanto fosse ingiusto il suo giudizio, magari proponendole di mostrarmi come si faceva o meglio ancora di accompagnarli lei, suo figlio e i suoi compagni. Però mi infastidiva: sembrava quasi che quanto più attaccassi, tanto più mi dovessi giustificare, ma perché?
Mi stufo e decido di scrivere qualcosa di più accomodante: “Certamente Signora, la comprendo. Venga pure a parlare in colloquio”. Ma non mi trovo a mio agio nelle vesti troppo remissive. Allora decido di “tradurre” il retro pensiero della Signora: si potrebbe capire che i docenti, a suo avviso, sono poco professionali delegando responsabilità agli alunni, non si curano degli studenti (che farebbero dormire con le blatte4), non sono neanche capaci di fare una programmazione, non rispettano le difficoltà economiche delle famiglie (come la sua, arguisco io). Ok, quest’ultima era una provocazione, perché non sopporto l’ipocrisia di chi si erge a difesa di altri che non si è filato neanche di striscio per cinque anni. E innesco una variabile.
La reazione
E in effetti, la reazione è stata immediata: la prima cosa che mi ha scritto è che lei non aveva problemi economici e che il fatto che io lo avessi pensato, la offendeva. La invito nuovamente a venire a parlare con me. Alla fine, dopo tutti sti giri di parole, risponde che:
voleva dire ai docenti che dovevano insistere con l’agenzia in modo più deciso
voleva organizzare una assemblea per l’uscita
L’ho rassicurata: meno male che ci ha pensato lei a dirmi come devo comportarmi da adulta…
Che cosa è successo davvero
Secondo Alberti ed Emmons5, tra lo stile aggressivo che impone le proprie posizioni e lo stile passivo che subisce tutto per evitare i conflitti, esiste una terza via che è quella dell’assertività: esprimere con calma le proprie emozioni nel rispetto altrui.
Gli ingredienti sono:
l’uso di frasi chiare,
il riconoscimento dei diritti altrui,
il mantenere la calma e
la ricerca di compromessi e soluzioni.
Nella mia comunicazione c’era tutto ciò: ho detto chiaramente che cosa avevo capito da quanto la signora scriveva, ho riconosciuto il suo diritto di dire la sua, ho usato un tono di voce sereno e ho proposto ogni volta un colloquio di persona per non chiudere il dialogo.
Ma c’è un problema: se io uso una comunicazione assertiva e l’altro non è in grado6 di recepirla o sostenerla, il dialogo potrà concludersi nel migliore dei modi?
La variabile di Bruto
Eh sì, ho usato il trucco di Bruto.
La povera mamma (quante volte capita anche a noi, che siamo docenti, di non pesare le parole) non ha riconosciuto quanta aggressività volessero esprimere (e quanto volessero offendere) le sue parole. Quindi ho inserito la variabile di Bruto su una questione marginale, i problemi economici: “pensa a quanto sono brava, voleva dire lei per dimostrare la sua superiorità, che difendo i poverelli e tu, stronza, che non ci pensi”. Questo era il suo messaggio (come se un’insegnante divorziata con due figli adolescenti non conoscesse l’argomento approfonditamente).
Perché funziona? Lei non ha mai detto di avere difficoltà, ci tiene a precisarlo, ma ha usato i “poveri” come scudo morale. La mia reazione smonta la retorica e la costringe a chiarire.
La variabile di Bruto è un fraintendimento strategico: porta l’altro a chiarire le sue vere intenzioni. Ad esempio, se qualcuno dice “Non mi ascolti mai!”, posso rispondere “Hai ragione, a volte sono distratto. Cosa vorresti che ascoltassi ora?”.

Perché non è aggressivo? Perché non attacchi la persona, ma fai emergere il non-detto. Se l’altro reagisce con onestà, il dialogo prosegue. Se si arrabbia, hai evitato un conflitto.
L’assertività è come una partita a scacchi:
Se l’avversario gioca lealmente, si cerca insieme la mossa migliore.
Se cerca di barare, usi la variabile di Bruto come scacco matto psicologico:
Smonti la tattica aggressiva/passivo-aggressiva (“no, prof, non voglio offenderla: è lei che mi sta offendendo!”).
Mantieni il controllo senza diventare un bulldozer emotivo.
Il trucco non è “vincere”, ma scoprire se l’altro vuole davvero giocare.
Buon caffè,
Simona ☕
PS: La newsletter del lunedì è assolutamente gratuita: se pensi che possa essere utile, condividila con altri.
Non entro nel merito delle recenti normative per le quali i viaggi di istruzione sono disciplinate dal Codice degli Appalti, la legge n. 36 del 2023, complicando quello che è già complicatissimo perché significa aggiungere ulteriori passaggi, snaturando del tutto scopi e didattica del viaggio di istruzione. Inoltre non c’è anno in cui la dirigente non ribadisca che, anche se sono maggiorenni, i docenti accompagnatori hanno la responsabilità civile e penale degli studenti perciò non possono lasciarli pascolare in giro; non c’è verso di trovare un’agenzia che capisca esattamente quello che stai chiedendo; non c’è modo per evitare imprevisti tipo overbooking vari e riorganizzazione in 5 minuti (al telefono e alle sette di sera) di tutto quello che hai impiegato settimane a costruire…
Il titolo è un crudele riferimento al fatto scatenante il putiferio: alcune recensioni sull’albergo segnalano la presenza di blatte nelle stanze. Provvedo immediatamente a verificare con l’agenzia, per quanto le recensioni fossero davvero poche sul totale. Situazione risolta e chiarita, rassicuro gli studenti. Qualcuno mi chiede: “Quindi prof, che cosa facciamo?”. Taglio corto: voi non fate proprio niente, noi siamo gli adulti, i docenti, che vi accompagnano, tutti coloro che hanno titolo sono informati, abbiamo preso tutte le precauzioni del caso. Per me, il problema era risolto.
Tutti maggiorenni, si preparano all’esame di maturità. In che mondo sono capitata?
Ma a qualcuno viene in mente che i docenti dormono nello stesso albergo degli studenti?
Ovviamente esiste una bibliografia consigliata: Quando dire di sì, quando dire di no di Manuel J. Smith, Assertività di Alberti ed Emmons. Poi scriverò io La variabile di Bruto e altre compulsioni della comunicazione.
Mea culpa: tradisco qui un certo radicato “snobismo dell’intelligenza”. Non mi ritengo un genio, ma se uno considera la frase: “non sapevo che avessi problemi economici” offensiva evidentemente mostra, se non altro, un po’ di sana ottusa ignoranza. Partendo dal presupposto che io voglia offenderla, conferma che la sua intenzione nei miei confronti era proprio quella e, secondo lei, le sto rendendo pan per focaccia: siccome tra simili non ci si attacca, la comunicazione si avvia su binari più tranquilli. La furbizia sta nell’individuare subito l’anello rivelatore che non tiene. Ci vuole allenamento. Esiste addirittura una scienza che studia l’ignoranza “indotta da dati scientifici fuorvianti” che affligge la società contemporanea, si chiama agnotologia ed è stata creata da Robert Proctor.