🛎️#7 Tenacia
Questa è la settima newsletter del 2025, invito a Sfide 2025 (Milano Rho Fiera), racconto di sassi e campanelli e di un libro prezioso che parla di "felicità possibile"
Prima di spiegare perché la tenacia sia una life skill fondamentale nello zaino di ogni docente, vi invito all’incontro-laboratorio con Simona Butò a Sfide - appuntamento che attendo con curiosità. Si parlerà di:
Orientamento
Pensiero narrativo
...problem solving (svelerò altro lunedì prossimo!).
Ritorniamo alla tenacia.
L’altra mattina, entrando in sala professori, ho trovato la mia collega Anna intenta a correggere i compiti di Chimica. Mi sono avvicinata per salutarla e, alzando lo sguardo, mi ha detto:
“Certo che bisogna avere molta fiducia nei ragazzi perché possano fare bene. Spronandoli a dare il massimo, forse si riesce a ottenere qualcosa.”
Sono d’accordo: la mia collega Anna è davvero in gamba, ha una solida esperienza, e un’incrollabile fiducia nei confronti degli studenti.
Non sempre per me è così, ma capisco che ci vuole una tenacia in questo giudizio che non sempre abbiamo.
Nel senso, scoraggiarsi a scuola è la cosa più semplice di questo mondo. E soprattutto perché spesso facciamo le cose sull'impulso del momento, senza una valutazione di quello che è necessario davvero.
Nella vita occorre l'umiltà di non ritenersi immutabili, ma anche la fierezza di esserci, di stare lì, come pietra miliare, come testata d'angolo o anche come maceria di un muro
finalmente abbattuto.
(La citazione è da “La felicità possibile”, scritto da Lucia Todaro, psicopedagogista con trent’anni di esperienza sulle spalle…)
Di che cosa è fatta la tenacia?
Si dice che l’amore di una mamma è tenace, che anche l’odio è tenace, che un ricordo è tenace alle ingiurie del tempo…
La tenacia potrebbe avere a che fare, secondo me, con la felicità. Lo dice bene Lucia Todaro quando sostiene che la felicità esiste ed è possibile. Bisogna avere la tenacia di dirselo, anche se significa andare contro corrente.
Accade invece, in questa società, che ci si schermisca, difendendosi con l’inattaccabile: “Ma io sono fatta così o fatto così: prendere o lasciare.
Anche a scuola la maggior parte degli insegnanti si comporta come se “fosse tutto dovuto”. Infatti, poiché ci danno fastidio negli altri le cose che non sopportiamo di noi stessi, quante volte diciamo o sentiamo, da insegnanti: questi studenti che pensano che gli sia “tutto dovuto”!
La verità è che a nessuno è dovuto niente.
“A volte basta imparare a dire “Mi piacerebbe che…”, “Sarei felice se…” piuttosto che “Voglio”, “Pretendo perché ho diritto!”. (…) Serve una limatina soltanto, ma regolare e quotidiana; magari è solo questione di parole diverse, di gesti più delicati, scelte meno perentorie e ci si trasforma. Nessun trauma né forzatura della propria natura, solo la saggezza di volersi rendere amabili, invece di pretendere di essere amati”.
La tenacia ha a che fare con la determinazione nel perseguire un obiettivo: che sia leggere un libro al mese, insegnare le disequazioni di secondo grado, usare correttamente il past perfect continuos o usare il gascromatografo, l’importante per un insegnante è trovarne uno decisivo per l’apprendimento. Cioè, un mezzo in cui si possa incanalare, incardinare, stabilire la relazione studente-docente.
Per resistere a tutte le intemperie di un anno scolastico, la tenacia sceglie di levarsi i fronzoli che non servono e andare dritto all’essenziale.
L’essenziale ha ancora a che fare con il saper fare dei sacrifici, una cosa davvero fuori moda, nella scuola del “tutto dovuto”.
Come un sasso
La tenacia di un insegnante non può fare a meno della fiducia: non siamo garantiti in quello che sarà il risultato finale, c’è un fattore di rischio altissimo, esattamente come diceva la mia collega Anna.
Bisogna fare una scelta all’inizio ed attaccarvisi con tutte le forze: la possibilità che la fiducia nei nostri studenti sia ben riposta è la condizione perché accada qualcosa. La tenacia è ciò che ti tiene attaccato a questa scelta iniziale e ti permette di resistere al desiderio di vie più facili, meno impegnative o faticose.
“È la saggezza del lasciar andare ciò che non serve per poter proseguire serenamente il viaggio della vita”: ad un ragazzo per crescere è necessario il rapporto costruttivo con un adulto, non i rimproveri, le lavate di capo, il continuo sottolineare le incapacità. “Ancora una volta, scrive Lucia Todaro, “si tratta di ritenere solo l’essenziale”.
Non serve che prenda bei voti, che impari la classificazione Dewey o che scriva correttamente: questi sono strumenti, mezzi, anche stratagemmi a volte. Perché la cosa importante è che dall’altra parte del filo c’è uno, un adulto, che ha la tenacia di esserci. Come un sasso1.
È un oggetto inanimato, ma che si presta a varie interpretazioni metaforiche: tutto cambia, anche ciò che sembra essere sempre uguale a se stesso; un sasso può essere levigato, colorato o sbiadito, spostato dagli agenti esterni, calpestato o frantumato. Eppure, resta un sasso, permane nella sua essenza e funzione: diventa qualcosa che sempre serve (a costruire, a ostruire, a sostenere, a battere, a determinare indizi sulle ere della Terra o di Marte) e sempre incanta (per colore, fattezza, lucentezza o opacità, provenienza, datazione, valore).
Tra tutti i promemoria emotivi, gli oggetti simbolici che Lucia Todaro propone per ancorare la scelta possibile di essere felici ad attimi e oggetti quotidiani, secondo me il sasso è quello che meglio rappresenta l’insegnante che vorrei essere. Lo descrive come l’oggetto più sottovalutato, io mi riempio ancora le tasche di sassolini quando cammino sulla spiaggia…
Un comune sasso insegna anche la pazienza di saper aspettare, di lasciar fare al tempo, agli eventi, senza temere che qualcosa o qualcuno possa stravolgerci l'esistenza.
E se la tenacia è la chiave per non arrendersi alle delusioni, Lucia Todaro ci ricorda che la felicità è possibile proprio nella capacità di attribuire significato alle piccole cose, anche quelle che sembrano banali. Servono a questo, i promemoria emotivi.
Senza saperlo, li uso anche io: per me erano le mie ancore.
Ad esempio, ho un pennarello fucsia che uso per scrivere alla lavagna. Lo porto con me perché mi ricorda che non è sempre tutto nero, che l’essere donna di Beatrice per Dante era simbolo di elevazione spirituale, che correggere può essere un’operazione più delicata se non fai sanguinare il foglio con la penna rossa.
Quando ho iniziato a insegnare, trovavo molto difficile sopportare il disagio di trovarmi in classe e dover attirare l’attenzione di tanti piccoli mostri che mi guardavano. Poi una mia amica mi ha detto che lei utilizzava un campanello da bancone per richiamare al silenzio. L’ho cercato e ne ho trovato uno blu: non resto mai senza il mio salvagente.
Conosco la dott.ssa Todaro, da quando insegnante inesperta alle medie e mamma in crisi, partecipavo ai suoi corsi per un po’ di respiro. La mia amica Mascia ha deciso di portarmi alla presentazione del suo libro. È stato un piacevole ritrovarsi.
Il suo modo di porsi è sempre sorridente, non dice che gli adulti, genitori o docenti, non capiscono niente come fanno tanti guru molto più famosi (e antipatici) nel palcoscenico italiano, usa parole semplici che arrivano subito al cuore e alla mente e costruiscono l’anima. La ringrazio di questa immagine 🪨 che per me è illuminante su che cosa significhi per me insegnare, lasciare un segno, ma anche restare un segno che ha contagiato la vita di qualcuno.
Il sasso esiste perché resiste, ha senso perché testimonia che nulla e nessuno potrà cambiare la sua natura, nemmeno quando si modificherà nel tempo: e quindi metafora dell'essere umano che, nelle diverse età della vita, cambia, si trasforma, ma resta un individuo unico e originale, prezioso quanto lo è la vita che scorre in lui.
Chissà se si parlerà anche di questo il 4 aprile… vi lascio il link (l’evento è gratuito)
Buon caffè,
Simona ☕
PS: La newsletter del lunedì è assolutamente gratuita: se pensi che possa essere utile, condividila con altri.
L’autrice sceglie altre immagini per rappresentare il rapporto educativo, in particolare la “gruccia” che consente di dare forma ad altro. So che però alla dottoressa farà piacere sapere quali sovrascritture i suoi “promemoria emotivi” sollecitano e come si caricano di significati e metafore. Magari ne discuteremo insieme…