🛎️#8 Problem solving
Questa è l'ottava newsletter del 2025. Oggi in ritardo. Mi sono imbattuta in problemi, risoluzioni di problemi, storie, cattedrali e cervelli che non finiscono di parlare....
La capacità di risolvere problemi è strettamente legata all’abilità di raccontare storie.
Di che cosa ci dice il Rocci
La parola italiana problema deriva dal latino “problema”, a sua volta preso in prestito dal greco antico “πρόβλημα” (próblēma). L'etimologia risale al verbo greco “προβάλλω” (probállō), composto da “πρό” (pró), che significa avanti o davanti, e “βάλλω” (bállō), che significa gettare o lanciare. Tra i significati proposti dal Rocci (il mitico dizionario di chi ha fatto il classico) figura anche “metto avanti”: il problema è qualcosa che ti si mette davanti e perciò ti ostacola.
Quello che si mette davanti a noi, è pacifico, può essere potenzialmente un ostacolo, ma anche una proposta1.
Per risolvere un problema bisogna porsi le giuste domande, dicono. Ma come puoi porre le domande giuste, senza conoscere tutta la storia?
Del “portare” la classe in gita
Sono appena tornata da un viaggio di (d)istruzione a Siviglia con la mia quinta, la classe che accompagno dalla prima.
Il nostro viaggio inizia alle tre del mattino con una levataccia. Saliti sull’aereo, lo steward annuncia: “C'è un medico a bordo? Abbiamo un’emergenza”.
Perfetto, penso. Terrore ad alta quota.
Da lì in poi, succede di tutto: uno studente dimentica le mutande e parte la caccia all'intimo; un altro si ammala e resta in albergo, con annessa trafila di chiamate e autorizzazioni; biglietti online da acquistare all'ultimo secondo per non perdere le visite; problemi con le stanze, discussioni con ragazzi che, ormai maggiorenni, si sentono indipendenti. E poi ci si mette pure il destino, che congiura per trasformare ogni minuto in un’avventura.
E la cosa straordinaria è che poi, tutte queste storie, ce le raccontiamo di nuovo, ogni volta aggiungendo dettagli. “No prof, la migliore è come ha battezzato la tipa per terra”, mi dice una studentessa ridendo.
Per contestualizzare: stavamo andando all’Archivio delle Indie quando ci imbattiamo in una donna stesa a terra, pallida come un cencio. Accanto a lei, un uomo che le sorregge il capo e due bambini dai capelli rossi con occhi sbarrati: una scena da pala medievale.
Un mio alunno, che si fa selfie con tutti ma ha anche fatto un corso di primo soccorso, si ferma ad aiutare. Io lo seguo. Nella concitazione, prendo una bottiglietta d'acqua e inizio a versarla sulla signora. Poi mi accorgo che non era svenuta: si è semplicemente rotta la caviglia. Ops.
Il marito, spaesato, non riesce nemmeno a chiamare i soccorsi. Lo faccio io. Nel frattempo, mando altri studenti a rassicurare i due bambini: si chiamano Eva e Harold, vengono da un paesino vicino Dublino. Una volta avuta la conferma che l'ambulanza sta arrivando2, salutiamo e riprendiamo il nostro percorso.
Del cervello “che racconta” e altre storie
Raccontiamo le stesse storie, ogni volta con dettagli più succosi, con qualche “Prof, ma lei non sa che nel frattempo….”
Ciascuno dei nostri cervelli si è costruito un film diverso: non possiamo fare a meno di costruire storie, come sostiene Will Storr nel suo meraviglioso libro La scienza dello storytelling.
È il film dentro la tua testa che ti fa agire per risolvere il problema, e la stessa cosa avviene nei cervelli di tutti. Siamo dotati di un cervello “narratore”:
“Creare storie, scrive Will Storr, è il mestiere del cervello. (…) Raccontare ci viene spontaneo come respirare.”
La possibilità di raccontare una storia, o di poter scegliere quale storia raccontare, risolve il problema. Perché è raccontando la storia che si dipana, si risolve, si sbroglia l’intreccio. Per risolvere è necessario che tu ne sia protagonista.
Perché la storia, se non te la sai raccontare bene, trova una soluzione in ogni caso.
Ma senza di te.
Il punto è, per citare Oscar Wilde, che
“There is no such thing as a moral or an immoral book. Books are well written,
or badly written. That is all”.
Allo stesso modo, se racconti male la tua storia o non sei capace di raccontarla, non potrai risolverne il problema.
Se la legge suprema dello storytelling è infatti che ogni storia scaturisce da un imprevisto che rompe l’equilibrio iniziale (per verificare è sufficiente verificare in qualunque manuale di Antologia della scuola dell’obbligo), ogni storia ha infinite possibili soluzioni.
La storia migliore è la scelta giusta per risolvere il problema3. Anche considerando i finali aperti, la storia migliore è quella che tende il più vicino possibile a sciogliere gli interrogativi posti all’inizio.
La mia idea è che la narrazione è il canale attraverso cui capiamo anche concetti difficili e non significa necessariamente trasformare i numeri in personaggi: non è questo che significa “narrare”.
Ci sono infinite possibilità di modificare la storia: nella cattedrale di Siviglia la stessa storia è sovrascritta innumerevoli volte, ognuno secondo la sensibilità e la necessità del tempo storico, la sensibilità delle persone, lo scopo da raggiungere. Insomma anche se non sappiamo in anticipo come andrà a finire, nel racconto si chiarisce la direzione che la storia, la nostra, la mia storia (quella di cui sono protagonista) vuole prendere.

L’arte della narrazione prevede di risolvere un problema o sciogliere i nodi. Attraverso il linguaggio di ogni disciplina perciò sono convinta che esista una matematica narrata, una chimica narrata, una fisica quantistica narrata…. (certamente esistono delle traduzioni, ma tradurre è sempre un po’ tradire).
Questo è uno dei motivi per cui credo molto nel progetto che presenteremo a Sfide. La scuola di tutti su Il pensiero narrativo: alle radici della didattica orientativa - Sfide.
Ci vediamo lì? Sarò insieme a Simona Butò perché le avventure belle sono sempre in compagnia…
Buon caffè,
Simona ☕
PS: La newsletter del lunedì è assolutamente gratuita: se pensi che possa essere utile, condividila con altri.
Tutte le opzioni di traduzione offerte dal Rocci partono dal doppio significato: metto fuori, getto avanti.
Ce ne siamo assicurati più tardi per una serie di circostanze surreali e fortuite…
Avrei spiegato questo con l’immagine di Doctor Strange che analizza 14.000.605 futuri possibili e in uno solo c’è la possibilità di salvare il mondo…