🌎 #9 Tolleranza
Questa è la nona newsletter del 2025. Il grado di sopportazione, nella scuola, è spesso oltre l'accettabile. Ripensare il significato della parola nelle lezione degli antichi e dei... meccanici
Nei racconti fiume sulle vicende dello stage in azienda che mi fa mio figlio, ho dovuto interromperlo per chiedergli che cosa intendesse per “tolleranza” perché non capivo che cosa c’entrasse con misurazioni e macchine. E lui (orgoglioso di potermi finalmente spiegare qualcosa) mi ha illustrato un concetto che mi è piaciuto molto.
Che cosa dice la meccanica
In alcuni ambiti tecnici, la tolleranza è “un margine di errore accettabile”. Per esempio, un foro di 10 mm ±0,05 mm accetta diametri da 9,95 mm a 10,05 mm. Michele, mio figlio, ha aggiunto che per fare in modo che il pezzo funzioni, le misurazioni devono essere molto precise, perché il “gioco” tra i componenti (ad esempio, albero e foro, o perno e foro) sia ottimale e non comporti una usura eccessiva. E infatti esistono calibri ad alta precisione (con tolleranza ±0,02 mm) in grado di garantire misurazioni entro questo range (e anche più basse).
La tolleranza in questo caso non indica un errore casuale, ma una variazione controllata durante la progettazione. Superare i limiti significa dover scartare il pezzo.
Non conoscevo questa variante del significato della parola “tolleranza”, che in genere si riferisce 1. alla capacità di sopportare condizioni avverse o situazioni difficili, oppure 2. si intende l’accettazione e il rispetto di idee, credenze, o comportamenti diversi dai propri.
L’idea di “sopportare” un peso che suggerisce rende la parola stessa decisamente antipatica. Ne consegue che arriverà un momento in cui non potrò più sopportare e quello sarà “il mio punto di rottura”.
Una sfumatura del significato
Come spiega Roberta Ioli in questa pagina (in cui ricostruisce il concetto di tolleranza a partire dagli antichi, presso cui peraltro non esisteva):
“Il termine tolleranza oscilla infatti tra la dimensione passiva della sopportazione/accettazione del male e la disponibilità a riconoscere la dignità dell’altro in quanto altro. Questa dialettica conserva sempre una sottile asimmetria; come suggerisce Maurizio Bettini, la tolleranza «presuppone non la piena legittimazione delle opinioni altrui, ma una qualche forma di “disapprovazione” nei confronti di esse (se non anche di chi le professa), sia pure accompagnata da atteggiamenti dichiaratamente pacifici».
Se la tolleranza fosse un bene spendibile, anche in bitcoin, la scuola potrebbe essere considerata una miniera più prolifica di quelle di Minecraft. Anche solo passando per il corridoio potrei sentire i cling dei lingotti d’oro che si accumulano per tutta la sopportazione che mi grava sul sorriso.
La vincitrice di questa settimana sarebbe la mia collega che ieri si è sentita mandare a fanc… (e tutto un rosario di parolacce/insulti, che si è giustamente appuntata). Mi raccontava di aver sopportato (con invidiabile sangue freddo) la pioggia di improperi: il suo punto di rottura è stato quando lo studente ha sostenuto che né lei né la dirigente rappresentassero qualcosa per lui: erano niente. Ammetto con ammirazione che ha gestito la situazione nel migliore dei modi.
Sicuramente questa è tolleranza: ha accettato una visione che non condivide, anzi disapprova, ha sopportato un maltrattamento verbale senza rispondere con violenza, ha preso i provvedimenti del caso senza mai alzare la voce o scomporsi.
Però…
E se arriva il punto di rottura?
Il concetto di tolleranza come “sopportazione” presuppone che prima o poi arriverà un punto di rottura: ci scontreremo, non sappiamo quando, ma ci daremo battaglia, fino a restituire l’uno all’altro ogni colpo basso, ogni umiliazione, ogni sguardo di traverso ricevuto.
La scuola potrebbe essere un campo di battaglia in cui si consumano “guerre fredde” con occasionali scontri indiretti in terre vietnamite. Non posso certamente impedire agli altri di vivere così, ma personalmente ho fatto una scelta diversa.
È più praticabile per me considerare “il margine di errore accettabile”: dovremmo sapere quali sono i range di variazione che ci consentono di procedere secondo i nostri principi e i nostri valori. E dovrebbe essere tassativo: oltre quella variazione, il pezzo è inservibile.
Questa settimana c’era il Consiglio di classe di una mia quinta (che adoro) ma che quest’anno sembra essersi disgregata. Una collega, che manda avanti il carrozzone dei PCTO e dell’apprendistato duale, ha reclutato quasi metà classe per lavorare due giorni in azienda in alternanza. Peccato che oltre alla voce perforante che si impenna su note alte all’inizio delle frasi, sia anche una fantasiosa megalomane, incapace per giunta di ascoltare chiunque. Un po’ alla Crudelia De Mon, ha anche la passione per gli accessori di lusso, adesso che ci penso.
Pacifico che si sia attirata le antipatie di diversi colleghi (che mettono in discussione il suo operato tout court), in particolare di una che non fa mistero davanti agli studenti di detestare la suddetta Crudelia De Mon. E sollecita gli studenti a denunciare la sua arcinemica alla dirigente.

Gli studenti, e se fossi uno studente lo avrei fatto anche io, lamentano il fatto che Crudelia DeMon li insulti, faccia evidenti favoritismi nei confronti degli apprendisti, e che non spieghi, o se pongono domande, si rifiuta di rispondere. Ma nessuno degli studenti dice nulla perché, non si sa come mai, passa per vendicativa e chissà che torture possa perpetrare.
E tuttavia anche tra i colleghi che detestano Crudelia DeMon, ci sono quelli che li insultano e dicono che non valgono niente.
Preciso che parto dal presupposto che i miei studenti mi dicano la verità: uno perché sanno che è quello il livello in cui ci incontriamo e due perché ho un fiuto eccezionale per le stronzate.
Non si accettano giustificazioni
“Prof, se non mi rispettano, perché io devo rispettarli?”: scommetto che nessuno ha mai sentito questa frase.
Il problema è che nessuno dei docenti del consiglio di classe (me compresa) può dire che stiano lavorando bene in classe, che il comportamento sia generalmente corretto e che si mostrano interessati a prepararsi per l’esame di maturità, perlomeno in modo dignitoso. E siamo in un ITI, non ad Harvard, quindi il livello minimo è appena sopra l’educazione standard, senza troppi ammennicoli.
Io ho, per l’appunto, un margine di errore accettabile, e so quale è. E no, non è la difesa degli studenti a oltranza: la capacità critica serve per agire la lealtà nei confronti miei e di chiunque, in un’ottica di responsabilità individuale e comune, che sembra si sia persa tra gli scrolling di Tik Tok.
Perciò quando dopo l’assemblea, i miei alunni hanno iniziato a difendersi, a lamentarsi, a dire che loro sono le vittime: la colpa è di Crudelia DeMon e loro non ci possono fare niente, io sono diventata viola. E davanti ai genitori (e ovviamente ci sono quelli che difendono i figli come scopo nella vita) ho chiarito quale fosse “il margine di errore accettabile”.
Ho spiegato ai miei studenti che si stavano giustificando: quello che stavano dicendo è che, a causa di Crudelia DeMon e di un suo nemico (evidentemente si fanno battaglia così, io sono senza parole) che li insultavano pesantemente e li maltrattavano, non potevano concentrarsi e studiare in tutte le altre materie, anche con gli insegnanti con i quali evidentemente non avevano alcun tipo di problema.
In estrema sintesi, gli ho chiesto: “Quindi voi preferite credere a chi vi dice che non valete niente, che siete dei coglioni e che non ce la farete mai, a chi, come me, DA ANNI, vi dice che siete in gamba, che avete tutti i numeri per farcela, che potete emergere davvero?”
Bravi, complimenti, ma non aspettatevi che io vi dica “poverini”.
Tra gli errori, il mio margine
Forse io non riuscirò a spiegare bene l’ascesa del nazismo e la sinestesia, ma il mio margine di errore non è questo.
Con i ragazzi non si mente, bisogna essere leali fino in fondo, andare all’essenziale, e l’essenziale è la responsabilità nei confronti della vita, perché siamo fatti per andare nel mondo e renderlo migliore. Questo è avere rispetto di se stessi.
Mi spiace non poter raccontare tutto tutto, ma spero che il ragionamento che mi ha fatto approdare ad questa idea di tolleranza sia chiara. Non significa che i ragazzi debbano accettare le angherie dei docenti, ma neanche farsi strumentalizzare dai nemici della De Mon, né tantomeno che diano il potere ad una sola disciplina di non impegnarsi in tutte le altre.
Quando questa settimana parlavo con Viviana Pinto1, mi sono trovata uno spirito affine: abbiamo riconosciuto che un docente alle prime armi viene lanciato nell’arena e non sa quasi dove si trovi.
Questo episodio (di Crudelia e studenti), oltre un certo grado di disgusto, mi fa domandare se forse non sia il caso di lavorare sull’integrità dei valori dei docenti, perché sia chiaro quel margine di errore accettabile che non trasformi la vita a scuola in una atroce sopportazione (= nel rispetto di tutto tranne che di se stessi).
E non dimenticare di venire a Sfide! L’ingresso a Sfide e Fa’ la cosa giusta! è gratuito, ma per il workshop Il pensiero narrativo: alle radici della didattica orientativa - Sfide serve l’iscrizione: il costo è di 15 euro e si può usare la Carta del Docente. Ci vediamo a Rho Fiera, domenica 16 marzo ore 14:00.
Buon caffè,
Simona ☕
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Colgo l’occasione per suggerire la newsletter qui su Substack di
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