🧭 Sistemi di Orientamento
... o mi sistemi l'orientamento? Questa è la trentasettesima newsletter del 2024. Di mindset, talenti, futuri possibili.
🫵 I miei pregiudizi in merito
Sono sempre stata convinta che parlare di futuro a scuola faccia poca presa. O che sia una preoccupazione propria dei genitori, interiorizzata dai ragazzi. O ancora che sia sostanzialmente una perdita di tempo, incentrata su discorsi demagogici e paternalistici.
Dirò di più, attribuivo la responsabilità di demotivare gli studenti ad una frase specifica: “Studio per diventare … medico, astronauta, Batman e avere i soldi”.
I ragazzi vivono nel presente, mi dicevo. Parlare al futuro è qualcosa che li spaventa, quella roba che riempie d’ansia1 i corridoi e li fa sfuggire verso le canne o la Ps4…così mi dicevo. Mi dicevo nella mia testa che spingere i ragazzi a raffigurarsi una professione futura fosse una forzatura più dannosa che produttiva.
E con un perfetto tempismo a scuola si parla ossessivamente di orientamento, sopratutto nelle classi terminali degli istituti di secondo grado.
L’orientamento, il famigerato DM 328 del dicembre 2022, è entrato lo scorso anno pesantemente nelle scuole e nella didattica.
“La letteratura scientifica sull’orientamento scolastico è concorde nel dichiarare conclusa la stagione che ha visto interventi affidati a iniziative episodiche. Serve, invece, un sistema strutturato e coordinato di interventi che, a partire dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti, li accompagni in maniera sempre più personalizzata a elaborare in modo critico e proattivo un loro progetto di vita, anche professionale.”
Così recita il comma 1.4. delle Linee guida. Si tratta proprio di mettere il dito nella piaga.
Sì, insomma, non sto dicendo che non se ne possa parlare, ma senza farlo diventare un progetto, un obbligo scolastico, una spada di Damocle
Invece…
🔮 Ritorno al “futuro”
Invece ci ho ripensato. Parlare del futuro è una parte necessaria: nessuno può vivere il presente senza raffigurarsi il futuro.
Non soltanto perché significa avere un obiettivo: “faccio qualcosa per raggiungere qualcos’altro". Il futuro è sempre il qualcosa in cui questo obiettivo si realizzerà.
Ma sopratutto: la dinamica della realtà in cui ci muoviamo prevede un futuro.
Facciamo degli esempi?
I documentari degli animali ci hanno insegnato che quando un predatore va a caccia si acquatta, si nasconde fermo e si mimetizza per tendere l’agguato alla sua preda. Pre-vede le sue mosse, sa che cosa vuole. Come fa anche il cacciatore. O come fa chi coltiva: pianta il seme nella terra scura e buia perché prevede che questo germoglierà e crescerà e potrà goderne.
Non solo: ciò che facciamo è indirizzato ad un futuro benessere. Ci trasferiamo per cercare condizioni di vita migliori, costruiamo case per garantirci maggiore comodità e sicurezza, risparmiamo per ottenere dei vantaggi in seguito. In generale affrontiamo (o chiediamo ai nostri figli) di affrontare dei sacrifici adesso nel presente perché in futuro possano stare meglio.
Ecco, questo appare una banalità, un concetto superficiale che non può tenere a lungo, uno di quei precetti stancamente moralistici che non possono avere valore se non nella riproposizione di schemi mediocremente borghesi ormai desueti.
Invece:
“L’uomo ha invero un carattere peculiare: può esistere solo nella visuale del futuro, dunque in un certo senso, sub specie aeternitatis” (Viktor Frankl)
Coltivare ambizioni
Certo, non si può vivere soltanto proiettati nel futuro, è ovvio che bisogna vivere nel presente, però è anche vero che la speranza di un futuro in cui sarò realizzato, farò queste cose, etc., svolgerò una professione che mi darà soddisfazione, è una grande spinta, è il perché della mia azione oggi.
È uno dei motivi per cui in classe spiego che cosa voglio ottenere compiendo una data azione o facendo una richiesta specifica. Ad esempio: per gli studenti è difficile parlare per un tempo consistente di un argomento senza domande o input da altri. Per questo imparano a memoria il testo del libro. Così ho optato per interrogazioni sempre orali, con sorteggio di domande, in cui ciascuno deve parlare per almeno 4 o 6 minuti collegando più argomenti possibili. C’è uno scopo, un risultato atteso, un fine per cui ho richiesto questa fatica. E infatti i successi non si sono fatti attendere.
“…la parola latina finis ha due significati: fine e scopo. Quando un uomo non è in grado di prevedere la fine di un’esistenza (provvisoria), non può neppure vivere per uno scopo. Non può neppure, come l’uomo nella vita normale, esistere guardando al futuro. Di conseguenza cambia anche tutta la struttura della sua vita interiore (…) per esempio, il disoccupato. Anche la sua esistenza è diventata provvisoria; in un certo senso neppure lui può vivere volgendosi al futuro, verso uno scopo situato nel futuro”
Sempre Frankl2.
Non vogliamo che i nostri ragazzi siano disoccupati, che vivano un’esistenza provvisoria senza potersi raffigurare il futuro.
Quindi la domanda cardine della tematica ORIENTAMENTO “che cosa farò da grande?” ha acquistato una nuova rilevanza, piena di significato e di valore.
Significa muoversi verso un futuro con uno scopo.
Ma quindi l’ansia da futuro ce la dimentichiamo?
No, è una realtà ma non è in contraddizione. Diciamo che la cura dell’ansia da futuro è appunto parlare del futuro. L’ansia da futuro proviene dall’incertezza. Ma l’incertezza nel presente. Per la mia esperienza, l’ansia nei confronti del futuro coglie i ragazzi che non riconoscono una relazione forte con un adulto che li spinge, li indirizza ma anche li sorregge verso l’ignoto.
Perché accade?
Perché la questione dell’orientamento, così come è stata formulata nelle Linee guida, ha un anello debole.
Non considera le personalità che noi esprimiamo (che non possono essere tutte uguali). Dico qui una mia personale opinione: finalmente è arrivata una legge che valorizza il mandato della scuola in senso orientativo, quindi di crescita, di sviluppo e realizzazione della persona.
Tuttavia c’è un punto in cui tutto crolla.
🏴☠️La caccia al talento disorienta
C’è da capire come noi, docenti e studenti, viviamo l’orientamento.
“4.1 La persona necessita di continuo orientamento e ri-orientamento rispetto alle scelte formative, alle attività lavorative, alla vita sociale. I talenti e le eccellenze di ogni studente, quali che siano, se non costantemente riconosciute ed esercitate3, non si sviluppano, compromettendo in questo modo anche il ruolo del merito personale nel successo formativo e professionale.”
“Scopri il tuo talento”, questa è stata la headline dello scorso anno sull’orientamento.
Ma se io talento non ne ho? Questo è quello che mi hanno detto i miei studenti.
Il concetto di “talento” proviene da una impostazione mentale, un mindset, statico.
L’uso che ne facciamo ha origine dalla parabola del Vangelo: il talento è una moneta, una ricchezza che viene data a ciascuno e che va impiegata…
Su Treccani (nel dizionario online) troviamo il significato più comune, quello in cui va inteso alla luce della progettualità orientativa: “Ingegno, predisposizione, capacità e doti intellettuali rilevanti, spec. in quanto naturali e intese a particolari attività”.
Possedere un ingegno rilevante, significa qualificarsi al di fuori della norma, quindi non è la normalità.
La convinzione che la nostra intelligenza e personalità sia un tratto fisso, che si possa solo scavare e indagare per poterla lasciare emergere, è fortemente consolidata nella nostra cultura occidentale (e nella scuola).
Quando diciamo che uno studente “non è adatto” per quella scuola, ci riferiamo alla nostra idea secondo cui i tratti peculiari della sua personalità non possono permettergli di sopravvivere in un particolare contesto.
C’è un modo di pensare alle capacità intellettuali come qualcosa che è dato una volta per tutte all’inizio e che o ce l’hai o non ce l’hai. La stessa dinamica si applica al talento, che sarebbe l’aspetto dell’intelligenza più brillante in te.
“Credere che le tue qualità siano scolpite nella pietra—il mindset fisso—crea l'urgenza di dimostrare te stesso più e più volte. Se possiedi solo una certa quantità di intelligenza, una certa personalità e un certo carattere morale, allora è meglio che dimostri di avere una buona dose di ciascuna di queste qualità. Non sarebbe accettabile apparire o sentirsi carenti in queste caratteristiche fondamentali.”
Scrive Carol Dweck, nel suo fondamentale Mindset, quando affronta la mentalità “fissa”. La psicologa evidenzia anche le conseguenze che incidono profondamente sulle prestazioni:
“Ho visto molte persone con questo unico obiettivo travolgente di dimostrare se stesse—in classe, nelle loro carriere e nelle loro relazioni. Ogni situazione richiede una conferma della loro intelligenza, personalità o carattere. Ogni situazione viene valutata: Avrò successo o fallirò? Sembrerò intelligente o stupido? Sarò accettato o rifiutato? Mi sentirò un vincitore o un perdente?4”
Il mindset statico agisce e si muove sulla base o nel timore di come sono giudicato; il mindset dinamico invece si preoccupa di come migliorarsi. Sono due modi di vedere le proprie capacità: in quello statico, come qualcosa di definito che necessita solo di essere dimostrato; in quello dinamico come qualcosa di mutevole che può essere sviluppato con l’apprendimento. Un modo per riconoscere la forma mentis statica è la continua ricerca, quasi l’ossessione per l’elogio5, il quale conferma la convinzione di sentirsi superiori agli altri.
Andare a caccia di talenti, significa mettersi nelle condizioni di elogiare tutti e instillare la convinzione della propria superiorità. Ma se tutti si sentono superiori, chi sarà inferiore? Che devastazione emotiva si può creare?
Non è un caso che alla fine il “capolavoro” che doveva essere presentato entro la fine dell’anno venisse proposto da sedicenti formatori/influencer come “la vetrina di te stesso”. Cosa che non era assolutamente nelle intenzioni della legge.
Ma “Galeotto fu il talento…”
💪 Dalla mentalità fissa alla cultura della crescita
È inevitabile considerare il “talento” una dote innata, qualcosa che uno sa fare bene senza che nessuno glielo insegni (o quasi). Spesso il pensiero sottostante alla base della mentalità statica è che in sostanza se ti devi impegnare vuol dire che non sei abbastanza bravo. Questa è un po’ la pretesa alla base del fatto che deve essere tutto facile, l’idea del “genio” che fa cose straordinarie senza sforzo.
E se invece io faccio una gran fatica? E se quello che faccio davvero bene la scuola non può considerarlo perché riguarda l’esterno? E se non sono davvero bravo in niente?
My 2cent, “scoprire talenti” è la tomba dell’orientamento.
Scoprire talenti appartiene ad una mentalità statica: andiamo a scavare per vedere quali sono le cose che sai fare bene senza sforzo e le valorizziamo. Ma se uno ha il dono di saper riconoscere la musica a orecchio, che bisogno ha di essere indirizzato sulla musica???
Orientare significa accompagnare nel dare una direzione, non al talento, che non ne ha bisogno , ma all’agire consapevole del mio studente: se compi questa azione avrai questo risultato, se vuoi ottenere questo risultato, puoi fare questa (o queste) azione.
La scuola, proprio per la sua struttura (ogni giorno un orario, ogni settimana la stessa routine, continuativamente per tanto tempo) dovrebbe essere il laboratorio in cui si scopra (questo sì!) che il lavoro assiduo, costante, pezzetto dopo pezzetto, costruisce competenze uniche.
I guru della crescita personale ci fanno i milioni su una cosa che nella scuola italiana rinneghiamo a tutti i costi: l’abitudine a lavorare quotidianamente, la costanza nel proporre un compito anche in quello in cui non sei bravo (anzi proprio perché non sei bravo), il susseguirsi di sfide e momenti in cui “si fanno i conti” (come gli scrutini) ed uno viene misurato (la valutazione è una misura!) per quello che ha fatto, per quanto ha lavorato, tutto ciò è orientativo. E insegna.
Se uno inizia a lavorare in cucina (visto che è ritornato Bake Off su Real Time), i primi giorni lo chef gli farà affettare zucchine alla julienne che poi butterà fino a quando non avrà imparato come vuole lui. Significa che non ha la stoffa?
Carol Dweck6 propone diversi esempi, ad esempio Michael Jordan:
“Michael Jordan non era nemmeno un talento naturale. Era l'atleta che lavorava più duramente, forse nella storia dello sport. È ben noto che Michael Jordan fu escluso dalla prima squadra della scuola—ridiamo dell'allenatore che lo escluse. Non fu reclutato dal college per cui voleva giocare (North Carolina State). Beh, non furono sciocchi? Non fu selezionato dalle prime due squadre NBA che avrebbero potuto sceglierlo. Che errore! Perché ora sappiamo che era il più grande giocatore di basket di sempre, e pensiamo che avrebbe dovuto essere ovvio sin dall'inizio. Quando lo guardiamo vediamo MICHAEL JORDAN. Ma in quel momento era solo Michael Jordan.
Quando Jordan fu escluso dalla prima squadra della scuola, fu devastato. Sua madre racconta: "Gli dissi di tornare e disciplinarsi." Cavoli, se l'ha ascoltata. Usciva di casa alle sei del mattino per andare ad allenarsi prima della scuola. All'Università della Carolina del Nord, lavorava costantemente sui suoi punti deboli—la sua difesa, la gestione della palla e il tiro. L'allenatore rimase sorpreso dalla sua volontà di lavorare più duramente di chiunque altro. Una volta, dopo che la squadra perse l'ultima partita della stagione, Jordan andò ad allenarsi ai tiri per ore. Si stava preparando per l'anno successivo. Anche all'apice del suo successo e della sua fama—dopo essersi trasformato in un genio atletico—il suo impegno negli allenamenti rimase leggendario. L'ex assistente allenatore dei Bulls, John Bach, lo chiamava "un genio che vuole costantemente migliorare il suo genio."
Per Jordan, il successo deriva dalla mente. "La forza mentale e il cuore sono molto più forti di alcuni vantaggi fisici che potresti avere. L'ho sempre detto e l'ho sempre creduto." Ma altre persone non lo credono. Guardano Michael Jordan e vedono la perfezione fisica che ha portato inevitabilmente alla sua grandezza”.
L’orientamento, che nell’intento del legislatore dovrebbe portare ad un apprendimento lungo tutto l’arco della vita si coniuga meglio con una mentalità dinamica, il talento si lega ad una mentalità fissa, statica.
Nelle fiabe il o la protagonista non ha quasi mai doti particolari, non ha alcun talento: raggiunge il premio perché, a differenza di tutti gli altri, si mette in viaggio, entra, nel bosco con coraggio, affronta le prove (che sono sempre durissime) con determinazione.
Un’ultima citazione7:
“Tom Wolfe, nel libro *The Right Stuff*, descrive i piloti militari d'élite che abbracciano con entusiasmo la mentalità fissa. Dopo aver superato una prova rigorosa dopo l'altra, si considerano speciali, persone nate più intelligenti e coraggiose degli altri. Ma Chuck Yeager, l'eroe di *The Right Stuff*, non era d'accordo. "Non esiste un pilota nato naturalmente. Qualunque sia la mia attitudine o talento, diventare un pilota competente è stato un duro lavoro, davvero un'esperienza di apprendimento che dura una vita... I migliori piloti volano più degli altri; è per questo che sono i migliori." Come Michael Jordan, anche lui era un essere umano. Si era semplicemente spinto più lontano della maggior parte delle persone.
In breve, le persone che credono in tratti fissi sentono l'urgenza di avere successo e, quando ci riescono, possono provare più di un semplice orgoglio. Possono sentire un senso di superiorità, poiché il successo significa che i loro tratti fissi sono migliori di quelli degli altri.
Tuttavia, dietro quell'autostima della mentalità fissa si nasconde una semplice domanda: se sei qualcuno quando hai successo, chi sei quando fallisci?”
Buon primo caffè dell’anno
Simona ☕️
PS: lungi dal pensare di avere ragione, mi confronto volentieri con chi mi vuole scrivere in pubblico o in privato!
L'ansia da futuro negli adolescenti è un fenomeno sempre più diffuso e complesso, influenzato da vari fattori. La pandemia, la crisi climatica e le incertezze economiche hanno intensificato il senso di insicurezza, specialmente tra i giovani, un periodo critico di transizione verso l'età adulta. Le principali preoccupazioni includono il timore di non trovare lavoro, di non raggiungere l'indipendenza economica, di aver intrapreso il percorso di studi sbagliato e di non fare le scelte giuste per il futuro. Altri timori riguardano l'abbandono, la solitudine, la malattia, la morte e la guerra. Queste paure possono manifestarsi in ansia, problemi relazionali, depressione, fobie, disturbi alimentari e autolesionismo, spesso aggravati dall'abuso digitale e dai disturbi del sonno. Le richieste di supporto psicologico sono in aumento, soprattutto per sintomi ansiosi e problemi relazionali, con le ragazze che mostrano una maggiore preoccupazione per il futuro rispetto ai ragazzi. I media e i social contribuiscono ad amplificare queste paure, creando un costante senso di allarme. Fonti: https://blogunisalute.it/paura-del-futuro-nei-giovani/; https://www.adolescienza.it/ansia-paure-depressione/giovani-sempre-piu-spaventati-dallincertezza-del-futuro-la-crisi-dei-25-anni/; https://www.secondowelfare.it/primo-welfare/giovani-italiani-tra-desiderio-di-genitorialita-e-paura-del-futuro/.
Le citazioni provengono da Uno psicologo nei lager, edito da Franco Angeli. Credo che lo leggeremo in classe nelle quinte…
Possono essere riconosciute ma non esercitate oppure possono essere esercitate anche senza essere riconosciute: ma come faccio a riconoscere qualcosa se non la vedo in esercizio???
Per poter guidare i nostri studenti servirà una mentalità fissa o dinamica? 🤷🏻♀️ C. Dweck, Mindset: The New Psychology of Success, 2006 Random House New York, pag, 5-6
Non ti stanchi di dover elogiare sempre gli studenti per qualunque stupidaggine? Li aiuta sicuramente?
Ibidem, pag 85-86
Ibidem, pag. 33