🪫 Parentesi di crisi nervosa
Questa è la quarantaquattresima newsletter del 2024. Dove metto in parole quello che non va nella scuola, almeno per come la vedo io... parlando tra me e me, nella mia testa...
La scorsa settimana chiacchieravo, come al solito fuori da scuola, con la mia collega1 su come accordarci per Educazione Civica. Le spiegavo che a partire dalla bozza che avevo condiviso, potevamo progettare qualcosa per rendere il percorso “organico”, come dicono i prof. di Lettere. Cioè, con un senso chiaro che può essere rintracciato in ogni sua parte.
E lei mi dice: “EH tu chiedi sempre questa creatività. Io non ce l’ho, sono una esecutrice, mi dicono cosa devo fare e a me va bene”.
Per fortuna quello che c’è nella mia testa non viene visualizzato fuori con un fumetto esplicativo. Però per me è stato illuminante. Per la maggior parte dei colleghi il problema è esattamente questo: sono esecutori.
Peccato che gli stessi si lamentino della montagna di scartoffie che la burocrazia scolastica ha sputato fuori negli anni. La burocrazia è meramente esecutiva, no?
È esattamente il punto, no? Gli stessi che si lamentano della mole di carte che il sistema scolastico ha creato negli anni sembrano accettare passivamente quel che la burocrazia impone, senza mettere in discussione la logica dietro a certe direttive. o meglio ci lamentiamo, ma non cambia niente.
L’esecutività di molti colleghi si basa sui programmi che non esistono più ma che comunque a scuola resistono. Il programma, seppur formalmente “sparito”, è ancora l’implicito di riferimento.
So che mi pentirò di queste parole perché molti si offenderanno, ma appunto, come ho avvertito già dal titolo, si tratta di una crisi di nervi.
(E aggiungo che fa bene ogni tanto concedersene una, perché non si può essere sempre gentili e professionali. Poi prima o poi arrivano quelle scene madri in cui veniamo travolti dalla marea di non detto che ci siamo portati dietro per anni.
Di noi diranno: eh, a un certo punto è crollato, si è esaurito, è andato in burn out…)
Ci sono diverse domande che mi urgono e non so da quale partire:
se mi dici che insegni con passione ma mi confidi che ti basta “eseguire” il tuo lavoro, significa che “esegui con passione”?
Ogni tanto si invoca la libertà di insegnamento: come si dovrebbe esplicare un diritto costituzionale (lo sappiamo che è un diritto costituzionale?) così importante da essere contenuto nell’articolo 33, se non con l’esercizio della creatività?
Come facciamo a valutare l’originalità, a utilizzare la creatività come criterio di valutazione o a sollecitare lo spirito di imprenditorialità, se noi che insegniamo siamo “esecutori”?
Tre è il numero perfetto e non vado oltre, ma argomento un pochino (sennò che crisi nervosa sarebbe?) ogni punto.
Passione esecutiva
Negli anni si è cristallizzata l’idea che avere una passione salvi dalla disperazione. E sovente questo discorso si abbina all’altro, moralistico, sui giovani della Gen Z che stanno tutto il giorno a guardare il cellulare (come se i “vecchi” facessero diversamente, poi…) e non hanno interessi di alcun genere. Oppure l’obbligo di fare della propria passione un lavoro. Ma, mi domando, se la mia passione diventa un lavoro sarà ancora una passione? O verrà sepolta da tutto ciò che, poco o tanto, il lavoro porta con sé? Scadenze, burocrazia, rotture di palle non soffocheranno la mia passione?
Libertà = responsabilità
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”: questa è una grande verità. Ed è anche una responsabilità mantenere la libera espressione della creatività umana, quella capacità unica di generare opere che ispirano ancora oggi azioni. Come combinare questo con i vincoli, anche normativi, imposti all’istruzione se per primi gli insegnanti non esercitano questo diritto/responsabilità?
Valutare cosa?
Tra i criteri che costringono la nostra valutazione, parlo proprio del voto che attribuiamo al livello di apprendimento raggiunto dai nostri studenti in ogni ordine e grado, sappiamo perfettamente che i livelli più altri considerano la capacità di aver interiorizzato conoscenze fondamentali di una disciplina e saperle “manovrare” in modo originale e nuovamente produttivo, creativo insomma? Che cosa valutiamo se noi per primi non sappiamo fare altro che riprodurre pedissequamente saperi?
Cultura, senso critico, ripartenze…
Un tempo nella scuola trovavano posto intellettuali che portavano visioni del mondo, muovevano cultura, provocavano domande e senso critico. La scuola non è più portatrice di cultura se i docenti si limitano ad eseguire il proprio lavoro. Sono consapevole che ci sono realtà che si pongono questo obiettivo. Ma non basta lasciarsi suggestionare da poche carismatiche figure e/o aderire a uno o più movimenti di innovazione con l’intento di replicare questo o quel progetto nella propria scuola.
Ogni istituto,
ogni consiglio di classe,
ogni insegnante
dovrebbe sentirsi addosso la responsabilità di portare fermento nel piccolo mondo che è la testa di ogni studente, la classe, la scuola. Perché l’unico modo per generare apprendimento, secondo me, è proprio il mostrare come quel concetto che ti spiego e che voglio che entri nella tua testa, è vivo per me, mi interroga, mi consente di pensare, scegliere e delineare la mia identità.
Ogni volta che c’è una “novità” si chiede alla scuola di trasmettere qualcosa ai propri studenti. Come se i docenti fossero dei diffusori d’essenze che spargono nell’ambiente conoscenze fondamentali. Ma non è detto che esca sempre un buon profumo.
Ad esempio, adesso è di moda l’Intelligenza artificiale che deve essere insegnata agli studenti. La domanda non dovrebbe essere: come faccio a insegnare ai miei studenti ad usare l’IA? Dovrebbe essere: come l’IA può aiutarmi nel mio lavoro? Perché se lo troverò utile e formativo, sicuramente potrò non trasmettere, ma insegnare questa competenza.
Se non ne vedo la validità e la convenienza, di che cosa parlo? Perché dovrei costringere i ragazzi a impararla? Qui divento un esecutrice, un diffusore d’essenza, un semplice ripetitore di nozioni.
E seppellisco il diritto di apprendere di chiunque.
Fino a quando non ci sarà una valorizzazione del ruolo chiave che i docenti svolgono nella società (non nella scuola), continueremo a scontrarci con una realtà insoddisfacente.
Continueremo a ricevere diagnosi fasulle, redatte da psicologi logopedisti neuropsichiatri compiacenti, “perché così hanno il PdP”. Continueremo a confliggere con i genitori che vogliono difendere i figli perché non ci poniamo mai il problema di che cosa vivono loro. Continueremo a sentire tutto quello che il MIM ci cala dall’alto come un peso anziché l’opportunità di esprimere, per l’appunto, la nostra creatività.
Ti offro un caffè se vuoi condividere la tua crisi nervosa con me…
Buon caffè, in ogni caso!
Simona ☕️
Quello che segue non è assolutamente un giudizio nei confronti della persona, cui peraltro sono molto affezionata. Le mie riflessioni centrate su domande accusatorie ad un tu generico, non sono nei confronti di una persona specifica, o meglio sì: è il mio tu allo specchio. Noi ci riflettiamo negli altri, è inevitabile.
Riflessioni scomode che potrebbero benissimo essere declinate per la genitorialità. Il concetto è sempre non posso insegnare agli altri qualitá che non nutro prima in me. Diventare quella persona che desidererei frequentare, avere a fianco, educare.. è nostra responsabilità. Il resto cade nel vittimismo sterile e aghicciante del “tanto si è sempre fatto così”. Grazie Simona per aver pronunciato parole fuori dal politically correct
E io arrivo con ancora più ritardo... Ma volevo sottolineare e condividere il tuo pensiero, con a cascata tanti pensieri che da esso scaturiscono: per essere creativi occorre tempo che dovremmo concederci oltre le 18 ore, per essere creativi bisogna avere una idea di scuola che vada oltre alla classe ma che si cali nella classe, per portare una ventata di novità è necessario essere aperti alla novità. E allora è più facile, meno dispendioso di energie, attenerci a programmi e indicazioni burocratiche, che finito quello hai finito tutto, non sarai oggetto di convocazioni particolari, avrai fatto ciò che si aspettano da te. Perché non ho ancora trovato qualcuno che si aspetta che io sia creativa, quanto tanti che si aspettano che non si creino "problemi" (che da matematica mi è difficilissimo, essendo il sale della mia vita 😅). Così... Pensieri sparsi prima del mio primo caffè 😜